"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Cláudia Varejão

Wednesday, 25 August 2021 15:45

Amor Fati

Volti. Volti dipinti più che filmati. Come non si vedeva da tempo. Amor Fati di Cláudia Varejão è uno dei film più sottovalutati di quest’anno. Certo, parla una lingua antica, forse perduta. Non so se esattamente nietzscheana, anche se l’eternità circolare dei personaggi di Claudia Varejão molto deve al suo sguardo intenso in modo stupefacente ma anche segretamente ironico, si direbbe quasi sornione (ripeto, non so se addirittura dionisiaco). Oltremodo poetico, Amor Fati è fatto di traiettorie, di sguardi lanciati e corrisposti (per l’eternità). Ogni volta che ritornano a casa, ripercorrono la curva spontanea da cui sono originati. Da qui questa sorta di umanesimo e di libertà di amare che sembra concepire il film, e forse il cinema stesso, come un’alchimia (da questo punto di vista la Varejão guarda senza remore all’insegnamento di Oliveira - Francisca, Vale Abraão). Il tempo, nella concezione della Varejão, non è esattamente eterno ritorno, né esattamente al di là del tempo: piuttosto qualcosa che, nello spazio, è in ascolto delle eco e delle onde sonore, e che ha a che fare con una materia ogni volta perduta e riconosciuta (ecco un’altra proustiana). La cosa più bella di questo film è la finezza dell’orchestrazione, il disegno complesso che però trasforma il rigore teorico in gentilezza del tocco.

 

Shengze Zhu

Wednesday, 25 August 2021 15:36

A River Runs, Turns, Erases, Replaces

Curiosa storia di un film che decide di cambiare in corsa. All’inizio è solo camera di sorveglianza fissa che trattiene il silenzio e il vuoto e che lentamente, al rumore delle sirene, vede riapparire persone come alieni. Wuhan osservata per mesi da un solo occhio dallo stesso punto. Il 4 aprile 2020 le persone tornano, incerte anche se e come attraversare la strada,. Shengze Zhu deve aver colto qualcosa di malinconico e distruttivo in questo ritorno più che nel vuoto assoluto precedente. Come se, tristemente, nulla fosse cambiato. Il fiume ricomincia a scorrere, le acque ad affollarsi nel luogo sempre sbagliato. Macerie, lavori, la città di nuovo messa a soqquadro. Campi lunghi e nebbiosi sulle spianate, qualche bufalo. Forse Shengze Zhu ha colto un’apocalisse perggiore del virus, qualcosa di definitivamente tetro e malato in noi. Perciò il film cambia, diventa più didascalico. Ma forse non si può fare altrimenti se si vuole lasciare una testimonianza. Ci sono quattro lettere di chi è rimasto indirizzate a una nonna, un padre, un compagno e una figlia che non sono più qui. Vengono lette e scritte sull’immagine. Testi, non più altro. Forse non può essere altrimenti, bisogna documentare questa inesorabile confusione.

 

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