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Northern Range (Olivier Derousseau)

Saturday, 27 March 2021 18:00

Penetrali dell’anima

Davide Oberto

There is that one word

which one must

define for oneself, the word

Us

 

Inizia così l’elegia cinematografica che Olivier Derousseau consacra al Northern Range, al nord marittimo francese, muovendosi tra Graveline, Petit Fort Philippe, Dunkerque e Calais.

 

Us/noi che Derousseau si ostina a cercare senza sosta in un territorio spossessato, devastato, evocativo di passaggi e paesaggi storici e politici importanti nella storia d’Europa; e lo fa usando la camera e il microfono come strumenti di ricerca archeologica.

 

Disegna una mappa che va a sovrapporsi alle carte navali di quel Northern Range che ormai si è spostato più a Nord verso Anversa, Rotterdam e Amburgo, anticipando la Brexit che avrebbe alzato un nuovo muro invalicabile attraverso la Manica.

 

L’histoire loin de “se détourner des événements [...] en élargit au contraire sans cesse le champ; elle en découvre sans cesse des couches nouvelles, plus superficielles ou plus profondes; elle en isole sans cesse de nouveaux ensembles où ils sont parfois nombreux, denses et interchangeables, parfois rares et décisifs” (Michel Foucault, L’Ordre du discours, Paris, Gallimard, 1971, p.57)

 

E Derousseau sembra cercare e incontrare il noi in quegli strati sempre nuovi che la storia lascia scoprire a chi la sa archeologicamente e cinematograficamente raccontare.

 

 

Paradiso perduto

La luna piena sta calando, un uomo in casa suona una Lap Steel Guitar, creando un suono che nel suo minimalismo non smetterà per tutto il film di moltiplicare “les couches”, gli strati.

 

Sabato 8 ottobre, 8:00, stanza, primo piano, microfoni direzionati verso la finestra, centro stanza, finestra aperta.

 

La luce filtra dalle finestre e riempe la casa: un mappamondo; delle peonie rosa recise; una fessura; la luce diventa un occhio e si apre al mondo esterno; abbagliante; nevica; una grande chiatta taglia la luce lattea.

 

Litorale

Una sdraio sulla spiaggia al sole.

È primavera.

 

6 aprile 2017, Dunkerque, Malo, sulla spiaggia, microfono verso le reti che trattengono la sabbia, molto vento oggi.

 

Improvvisamente la spiaggia si riempe dei fantasmi dello sbarco.

Immagini di un film che forse era Dankirk o poteva essere Dunkerque; e i set kolossali che erano stati costruiti vengono smantellati.

 

In mancanza di una necessaria cultura della disinformazione, occorrerebbe almeno seguire il consiglio dell’antico stoico che raccomanda a un amico di non riferire tutto agli altri mettendolo in guardia contro il troppo pieno dello sguardo. “Si accumulano, infatti, innumerevoli parvenze e immagini di cose visibili, le quali entrano attraverso i sensi del corpo e dopo essere state fatte passare una per una si addensano in massa nei penetrali dell’anima e la appesantiscono e la intorbidano, non essendo essa a ciò creata, né capace di contenerne tante e tanto difformi. Deriva da qui la peste dei fantasmi che erompono e stracciano i vostri pensieri, e con la mortifera mutevolezza chiudono la strada a quelle illuminanti meditazioni con le quali si sale all’unico e sommo bene” (Francesco Petrarca, Secretum. Il mio segreto). Quegli spiriti che non moriranno di fame, mentre noi, invece moriremo” (Paul Virilio, Lo schermo e l’oblio, Milano, Anabasi, 1994, pg. 69).

 

I fantasmi diventano carnevaleschi e, afoni, calpestano quelle spiagge ormai deserte da cui i migranti cercavano di raggiungere l’Inghilterra.

 

Inghilterra.

Gli occhi cavi e ipnotizzanti dei Borghesi di Calais di Auguste Rodin che arrivano dalla Guerra dei 100 anni, tentando di sconfiggere gli inglesi e vanno verso un futuro di zombie sconfitti morti di fame.

 

Calais, stesso posto, sono dietro al muro, ai piedi del pilone, l’autostrada è a sinistra, il microfono è orientato verso i mezzi in transito.

 

e campi di grano; l’estate; tra i covoni spuntano bunker, residui archeologici di altre Brexit; un crocefisso gigante con un Cristo bianchissimo guarda probabilmente le bianche scogliere di Dover; e poi la JUNGLE…

 

Muro - infiniti muri

Un uomo su una battigia deserta sembra volersi immergere in acqua e allenarsi per attraversare il mare.

C’è vento. Si intuisce il freddo.

La musica suggerisce un dolente film western che non esiste più.

 

Un treno attraversa i campi al tramonto circondato da reti metalliche invalicabili e arriva a Calais

 

We don’t stop that

we, one night

but we, two nights

at least

more precisely at the very point

where the two nights conjoint

or, rather, where they cannot spread

and what was inscribed in the word of this un-separation

without failure

that which was leave now

but did not simply disappeared

this time till exist

even if we don’t know where

and even if there is no one to recall

 

sussura una voce con un accento non europeo.

 

Sirene

Un caro amico è morto e le peonie rosa crescono vicino alla sua tomba.

Era un direttore della fotografia e un disegnatore.

Le immagini.

Il tempo.

Gli strati delle storie.

 

We don’t know exactly what to do

with the time that had existed

we know that it is practically inaccessible

but we don’t know what do with this lack of access

 

we/us/noi

 

Di nuovo la voce non europea ci inchioda ai nostri confini (d’Europa) e al cinema che solo può immaginare qualcosa capace di riempire di vita il lack of access.

 

Automobili di medio/alta gamma entrano con compostezza nel treno container che passa sotto la Manica. Il treno sembra uscire da un film distopico di fantascienza degli anni ‘70 rivisto da Roland Emmerich: potenza di classe che sola può attraversare il muro d’Europa.

Mentre l’unica sirena che vorremmo poter incontrare è Cher che canta The Shoop Shoop Song.

 

 

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