"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

El Tango del viudo (Raúl Ruiz)

Saturday, 27 March 2021 19:10

Il corpo all’inverso

Bruno Roberti

Con un film spiralico e palindromo come El Tango del viudo, che necessariamente e significativamente è sia incompiuto, immontato, sia il suo primo lungometraggio, Ruiz lancia una sorta di mossa per mettere in scacco il nostro sguardo e insieme il nostro corpo di spettatore (colui che oltre a vedere il film ci si rispecchia rovesciandosi, dal momento che il titolo precisa: y suo espejo deformante). Ci vuole un rovesciamento del mondo, un suo reves (come nel suo film El cuerpo repartido y el mundo al reves/Utopia del 1974), per poter mettere in moto il film, e de-ricomporre il cadavre exquis, bisogna attraversare uno specchio la cui faccia inversa resta invisibile ogni volta che lo specchio si deforma invertendosi e mostrando l’immostrabile e cioè suscitando l’invisibile. È così che il corpo del film e il corpo dello spectante, spettatore-rispecchiato e reso inverso, riescono a immettere un altrove proprio dove non ci sarebbe altrove se non il suo spettro di luce.

Il film repartido ha dunque bisogno non tanto di essere finito quanto paradossalmente di essere infinito sempre tornando, all’inverso, su se stesso. È come se fin dall’inizio, Ruiz abbia affidato questo compito in un tempo sospeso a Valeria Sarmiento, che infatti, nella storia di un vedovo che estroietta da sé il fantasma della moglie e in modo misterioso diventa quello spettro (che si rifrange, si spezzetta, si riflette, da cui si stacca una capigliatura medusèa, le cui vesti vengono alchemicamente strizzate per ricavarne un liquido trasformativo), tutto (anche il sussurro dialogato, ritornante, revenant) si fa musica luttuosa, ritmo di montaggio e de-montaggio, che proviene da un altrove infinito. Passi e apparizioni di un vedovo-vedova. Ma chi è il vedovo di chi?

Nei mito racchiuso nei misteri egizi di Iside la Dea percorreva il mondo capovolgendolo alla ricerca dei pezzi del cadavere di Osiride, suo consorte e fratello. Iside era la vedova che, nell’inversione, ridava vita all’immagine di un dio doppio, insieme se stesso e l’Altro. Ruiz amava riferirsi alle sette misteriosofiche (le inventava o reinventava) e nella Massoneria i ‘fratelli’ si definiscono ‘figli della Vedova’. Nel film, come affermava Ruiz, il quotidiano è scandito in modo perturbante, “Il fantasma della moglie lo segue ovunque, sotto il letto, sotto il tavolo. Il vedovo è un feticista: strizza gli abiti inzuppati della moglie e ne raccoglie il liquido in bottiglie con cui va a dormire. A furia di tallonare il fantasma, ne prende le sembianze”1. Come in un soggetto scritto da Bernardino Zapponi per un film non fatto di Fellini o come nel corpo-a-corpo finale di Le locataire (L’inquilino del terzo piano) di Polanski, l’invisibile doppio femminile si incarna e si incorpora in colui entro cui si specchia.

Allora il senso di quel tornare indietro, con passo inverso, del film su se stesso, sentendo i dialoghi al contrario, sospendendo arcanamente per qualche istante lo stesso movimento palindromo che si riconnette a spirale, per poi ricominciare in-definitamente, diventa appunto la cifra assunta da questo film-specchio, autenticamente firmato, come in un indissolubile matrimonio alchemico, da Raúl e Valeria.

Nel gergo del tango c’è una parola, che è anche un passo e una mossa, Sacada: movimento in cui il corpo di uno dei ballerini prende il posto dell’altro. In realtà si stratta di una sorta di svista, o anche di una invisibile presa di posizione: l’effetto visivo è che tolga quel posto colpendo la sua stessa gamba, ma ciò non avviene. Quello che succede è che si è scivolati con uno scarto inverso l’uno nel corpo dell’altro. El tango del viudo lascia il posto al proprio film-fantasma senza essere un film di fantasmi. Il suo azzardo è quello di muoversi sempre a vortice e spirale, come per ogni film (diceva Ruiz), in quel punto cieco dove le immagini e i film infiniti, gli attimi più infinitesimali e apparentemente insignificanti dell’intero universo, possono (al pari dell’Aleph borgesiano) ultravedersi tutt’insieme in un unico punctum di buio e di luce.

Film infiniti tra un fotogramma e l’altro.

 

1 (a cura di) E. Bruno, L. Esposito, B.Roberti, D.Turco Ruiz Faber, minimum fax, Roma, 2007, pp.242-243.

 

 

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