"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

CHAMBRE VERT (2) - Otar Iosseliani, Roger Corman

Sunday, 14 July 2024 10:37

Arturo Lima, Edipo Massi

Breve storia di due metafisici

 

 

Ricordiamo qui due costellazioni di idee e pensiero che non hanno nulla in comune se non la recente scomparsa dei loro due portatori. In verità, Roger Corman e Otar Iosseliani hanno in comune di non essere replicabili, l’azione inarrestabile dell’uno e la melodia asimmetrica dell’altro non sono assimilabili a nulla che riguardi il cosiddetto cinema contemporaneo o un’attualità del cinema in genere. E se per Corman è pur necessaria qualche precisazione, la morte di Iosseliani semplicemente apre un vuoto cosmico.

Corman si è inventato una macchina-cinema che si auto-alimenta, che avanza per scoppi e fiammate, micce sempre accese da cui, proprio per questo, si sono generate storie e visioni di molti altri grandi cineasti (inutile rifare qui la lista ben conosciuta) e di cui è ancora possibile rinvenire diramazioni e discendenze. Eppure anche Corman è dalla parte dei registi che sembrano ormai parlare una lingua sconosciuta e forse perduta, se non altro per questa sua idea di immagine come nucleo di un unico film infinito il cui fuoco viene appiccato e di continuo riattizzato. Ancora più emblematica la sua idea di set (anche sempre lo stesso, vedi la serie da Poe) e dunque di messa in scena: al tempo stesso cubista, minore e riciclabile (uno per tutti il capolavoro Gas-s-s-s). Il numero imprecisato di registi che ne hanno beneficiato (economicamente e sul piano dell’ispirazione), dipende forse dalla velocità con cui il luogo stesso delle riprese è un luogo di pura metamorfosi delle idee, dei corpi e delle immagini stesse.

Iosseliani ha una concezione purista, per così dire, della realtà: ciò che è vero è fantasmatico, un mondo di apparizioni e sparizioni che sembrano bruciare dall’interno l’immagine, ma che costituiscono la materia di qualcosa di tragicamente inquieto, ironico e indecifrabile (Caccia alle farfalle). Il set esiste e non esiste, è concepito per spalancare porte verso altre dimensioni, e lo sguardo, come in Buñuel o in Renoir, è paurosamente preciso, l’unico possibile in quel momento e per quell’inquadratura, quasi disumano (gli animali vengono in aiuto, ci guardano). Come si arrivi a questo è e resterà un mistero, benchè sia da qui che bisogna cominciare, altrimenti non si capirebbe come questo genio indagatore della caducità umana possa anche fare alcuni dei film più cupi e politicamente violenti di sempre (da Un incendio visto da lontana a Brigands).

 

Otar Iosseliani, Roger Corman

 

Citiamo con parsimonia, verrebbe voglia di mettere nero su bianco le due filmografie e lasciare questa pagina parlare da sola, attraverso la sconvolgente lista dei titoli. Inoltre, fa sorridere chiamarci film parlato e ricordare Iosseliani, un cineasta che rigioca tutto l’arsenale cinematografico del muto, e che ha dichiarato che la parola a un certo punto è diventata una catastrofe per il cinema, perchè una cosa è essere sonoro, una cosa parlare, cioè voler far passare contenuti coi dialoghi. Se un quarto del cinema che si fa oggi seguisse questa strada, ci godremmo i film senza bisogno di fare una rivista.

Non sono forse entrambi dei metafisici? Intesi letteralmente come scienziati della realtà assoluta. In Corman l’immagine è sempre – non solo nel titolo del capolavoro The Man With the X-Ray Eyes – un’immagine ai raggi X, con la sua reazione a catena sconvolge la realtà naturale delle cose, ma lo fa con un’esattezza quasi matematica che davvero ricorda Edgar Poe (come è stato detto: terrore e raziocinio). In Iosseliani la disperazione passa per la trasparenza. Il mondo esterno che brutalmente entra nelle vite umane, ne mostra lo spreco e la vanità e, al tempo stesso, propone una via d’uscita ironica (cioè vieppiù disperata) e politica (sempre detto con sorriso etilico) nella forma di una partitura musicale di immagine e suono. Ciò che dice Iosseliani per definire questa metafisica del cinema riguarda anche Corman: si tenta un montaggio di questi elementi per dare una risposta il più possibile chiara a qualcosa che, trattandosi di immagine, è sempre più vicino all’istinto che a una formulazione semantica vera e propria. Il cinema dunque sarebbe qualcosa che eccede la nostra possibilità di comprendere le cose, come le cose davvero avvengano, un vero campo metafisico in cui si riflette sui casi della vita senza saperne nulla, ma con la strana coscienza che questa fallibilissima non-arte abbia da qualche parte la dedizione per arrivare talvolta a certe conclusioni, addirittura a svelare uno o due segreti della vita.

 

 

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