"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

CINEMA vs DEATH (2) - First Reformed (Paul Schrader)

Saturday, 05 May 2018 07:45

Roberto Silvestri

First Reformed, Second Revolutioned

Il caro diario di un pastore calvinista - non per vocazione, ma per i casi della vita - assetato, a suo rischio e pericolo, di verità e attratto dalla martiriologia. Come il collega cattolico di Bernanos/Bresson anche il vicario protestante Toller (Ethan Hawke) cura a whisky uno stomaco morente di cancro. Ha dentro di sé l’inferno. Tra un mese quel diario che inizia con le parole “convivere con la disperazione è il senso della vita” vorrà bruciarlo. Ma la sua bella chiesa cristiana aniconica del 1767, in legno bianco, di Albany, di cui si ammira la facciata, al confine col Canada, in festa per i 250 anni, è un museo vuoto di fedeli che fa gola ai boss locali della speculazione edilizia. Bisogna resistere. Il campanile, inquadrato per qualche secondo in primo piano, sembra già quasi un minareto.

Nel diario, che padre Toller cura meticolosamente, il “peccato privato” che gli devasta il cuore è aver spedito il figlio a morire in Iraq ed essere stato per questo abbandonato dalla moglie. Quel peccato privato fa corto circuito con il “peccato pubblico”, l’apocalisse ecologica prossima ventura. Ogni buon pastore ha il dovere di indignarsi, combattere e andare perfino oltre, come i sacerdoti che seguirono Romero e Camilo Torres e non il Vaticano. Internazionalisti versus ecumenici. Padre Toller era un militare di carriera prima di prendere i voti. Che oggi sta pagando il suo errore paterno. Ma sempre e solo di patria sa preoccuparsi.

Così il suicidio di un giovane amico ambientalista-ecoterrorista, disperato per l’avvento di Trump e l’avvelenamento progressivo del territorio circostante, attrae Toller, sentimentalmente e sessualmente, verso la vedova incinta del militante verde. Impegnata politicamente lo è anche lei, ma è meno drastica (è Amanda Seyfried). E questo sedurre è del tutto lecito in quella chiesa, grazie a un Dio protestante. Ma, intellettualmente, quella tragedia lo spinge verso un’interpretazione diabolicamente sempre più “letteralista” del vangelo secondo San Giovanni. Si potrebbe dire che la sua è una lettura di facciata, esteriore, semplificatoria. Mencken ci aveva avvertito. Mai credere che la soluzione a un quesito profondo sia quella logicamente più ovvia. Sparano a scuola? Allora più armi a scuola! Ti uccidono la moglie, allora pena di morte! Ci sono troppi immigrati? Allora aiutiamoli a casa loro!

Qui dunque la trasgressione diventa fondamentalismo devastante. Semplificazione ossessiva del mondo dentro la propria “casa”, i propri schemi, formule, logiche. Schrader conosce bene questo meccanismo di intorpidimento spirituale. Si chiude il fedele a ogni sguardo altrui, immagini visive e sonore comprese. E si diventa così manovrabili, pronti a qualunque atto fanatico. First Reformed è la vendetta biografica di un cineasta cui fu negata dai suoi genitori la vita di ogni adolescente in cambio di una Salvezza garantita, basta non dubitare. Il film ci dice: guardate che non si è mai a casa propria (cioé il nostro rapporto con noi stessi e con il mondo non è mai equilibrato) finché non si attraversano molti confini e non si scambiano molti sguardi “altri” e “differenti”. 

Anche a livello di cinema. Il film è addirittura infastidito dall’essere uno “Schrader-Movie”. Così si disequilibria lo stile con un turbine di riferimenti avulsi e di citazioni belle o nascoste. C’è chi ha visto perfino Ultimo Tango a Parigi in una scena di ballo nel sagrato o Yuzna, per quei ripetuti pensieri e inni sacri che perseguitano Toller fin nella stanza da bagno…. Dreyer, Ozu e Bresson, e le loro immagini di silenzio trascendentale, sempre adorato dal cineasta di Blue Collar e suo punto di riferimento espressivo - notare l’uso della camera fissa bergmaniana sugli spazi, esterni o interni, attraversati e abbandonati e riattraversati dai personaggi, mai inseguiti o molestati dall’operatore in steady-cam; le parole secche; la staticità ieratica; gli abiti rigorosi - vengono inquinate da isotopi impazziti di cinema d’azione alla Taxi Driver, anzi quasi di tele-news, perché lo spettatore contemporaneo più sprovveduto, che abita nelle assopite contee rednecks, ha bisogno di sentirsi le mani addosso, di essere preso a pugni in faccia in dolby system, per reagire. Oggi lo spettatore critico lo è solo dopo un K.O che lo fa imbestialire.

Ma torniamo ai superclassici.

Se Gesù fa scrivere da San Giovanni il fondamentale versetto evangelico: “distruggete i distruttori della terra!” e Toller si trovasse nella situazione ideale di una “casa del Signore” a un tratto stipata solamente di grossi magnati borghesi, avidi affamatori del prossimo e sfruttatori del bene comune (proprio come quando la Resistenza, nel cinema, giustizia i gerarchi nazisti nel castello di La sporca dozzina o nella sala parigina deluxe di Inglorious Basterds), cosa architetterebbe? Come potrebbe punire tutto quel mucchio selvaggio di peccatori se non prendendo in prestito metodi religiosi e dinamitardi altrui, diversamente eretici? Basta tradurle calvinisticamente quelle suggestioni da kamikaze islamista in: «La grazia scende su tutti noi, ci credo fermamente», o meglio: “Dio è più creativo di tutti noi”, come annota nel diario.

Ecco la filiera teologica che ha fatto scattare la censura culturale rispetto a questo film, bellissimo e scandaloso (del tutto ignorato da Golden Globes e Academy Awards) perché equipara, in modo teologicamente profondo e verosimile, certe letture bibliche di Calvino e le memorie storiche di inquisizioni e persecuzioni cruente compiute dai cristiani alle interpretazioni coraniche devianti di Abu Bakr al-Baghdadi. L’occidente antico e l’oriente moderno: stessa faccia e stessa razza. Impresentabili.

First Reformed è un film-testamento ma non solo: immagini (di Alexander Dynah) ancora più essiccate e denudate del solito, quasi da pala d’altare; un montaggio provocatoriamente europeo, quello interno alla sequenza, che alla meccanicità del campo controcampo con sorpresa incorporata ogni tre secondi, contrappone un flusso più morbido e sensuale, pause di riflessione, aritmia e finish di cucitura affidato solo a chi vede; la scelta del punto di vista, sovrumano o subumano (ecco perché sono immobili ma meditabondi solamente gli spazi della chiesa, come se fossimo in un film di Bergman con il protagonista sconvolto dentro e come “esorcizzato” da Friedkin), le armonie teppiste (di Brian Williams), le levitazioni alla de Oliveira, le autoflagellazioni da Todo Modo, qualche elogio inaspettato alla chiesa riformata d’Olanda (che in quelle zone aiutò e nascose i fuggiaschi neri durante lo schiavismo, si afferma, per non sembrare manicheo, a differenza di quel che faceva e farà in Sudafrica).

L’austera scenografia (raddoppiata dalla severa postura e dagli oscuri pensieri di Hawke) insomma devia in noir il solito duello schraderiano tra morale e trasgressione, trasformando i tormenti dell’anima in un film d’azione. Nel noir “classico” è la donna che trasgredisce l’ordine simbolico che la vede oggetto della storia e mai soggetto. E soccombe per aver osato tanto. Nel neo noir (penso a Kelly Reichardt e a Guillermo del Toro di The Shape of Water che, cronologicamente, si svolge proprio in epoca post-noir) la speranza che si possa essere soggetti della storia e non più pedine di un destino che ci sovrasta è sia maschile che femminile che postumana. Le donne sono solamente dotate, per esperienza canaglia, di una scienza tattica del combattimento più fantasiosa (si veda in Night Moves come sia Dena la più preoccupata “ecoterrorista pacifista”). In questo noir non mancano le geometrie di ombre e le porte misteriose che aprono spazi filmici che in realtà non esistono. E ci conducono all’happy end. E chi crede che questa sia una stupida roba hollywoodiana dovrà misurarsi con il più folgorante e trionfante finale felice del regista di American Gigolò, identico a quello fanta-horror di The Shape of Water. I mostri sanguinanti si abbracciano. E citano nel fuori campo Salomè di Carmelo Bene:

“Non c’è altro amore che l’amore di Dio.

Non c’è altro amore che l’amore.

Non c’è altro amore.

Non c’è altro”

 

 

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