Alla ricerca dell’uomo
Nel 2018 sono venuti (d)al buio un film di Welles e uno di Rossellini, sarebbe abbastanza per tacitare, per un decennio almeno, le prefiche del “cinema è morto”, ma la prefica è prezzolata quindi troverà sempre del latte, che non ha prodotto né versato, su cui (far) piangere. Invece, uno scherzo del caso, ci mette ancora una volta davanti insieme questi due fanciulli giganti, cavalieri erranti degli abissi umani, gemelli diversi (nati entrambi sotto il segno del Toro) che corrono in direzione opposta per scontrarsi negli stessi punti, talmente vicini da non potersi vedere. Se The Other Side of the Wind è arrivato dopo una suspense lunga quarant’anni, annunciato da spezzoni e schegge, accompagnato da leggende, Psychodrame è giunto a sorpresa, inatteso e all’improvviso. Dato per incompiuto, girato ma non montato, nel libro di Tag Gallagher, e da lì ripreso nelle rare filmografie che lo riportano (più accorto e fascinoso il “desaparecido” nel libro della Cinemateca Portuguesa) questo UFO di circa mezz’ora realizzato per la TV francese è spuntato fuori tra le pellicole dell’Associazione Moreno Museum che si è avvalsa del cinetico Sergio Toffetti per presentarlo alla Cinémathèque française prima e al Torino Film Festival poi. Psychodrame, prodotto nel 1956 dal Centre d’Etudes della televisione francese, l’ORTF, che, come dichiara immediatamente il presentatore, approfittò del passaggio a Parigi di Jacob Levi Moreno, professore di sociometria a New York e ideatore del metodo d’azione dello psicodramma. La realizzazione di questo film “sperimentale” fu affidata a Roberto Rossellini, e ora sappiamo che il progetto fu portato a termine, la copia rinvenuta ha titoli di testa e di coda (in questi ultimi il copyright è datato 1957), corredata di presentazione iniziale e commento a seguire in studio.
Se il film di Welles, anche nella versione di due ore tratte da più di cento di girato, rappresenta l’ennesimo tentativo di opera totale, infinita e per questo interminabile, l’utopia di vomitare tutto il mondo, l’umano e l’abisso in cui siamo sospesi, questo di Rossellini è un anello, finora mancante, della sua filmografia che segna, non solo in senso “tecnico” il primo approccio alla televisione, ma l’abbandono di ogni vocazione artistica per dedicarsi alla ricerca di un cinema che possa farsi “strumento” di liberazione attraverso lo studio e la conoscenza. Laddove Welles si fa poeta, spalanca le porte dell’abisso della miseria umana, lo agita e scatena tempeste di lampi accecanti e buio tenebroso, Rossellini si fa marinaio e cerca l’albero o la bussola che possa, se non condurci a un approdo, aiutarci a non annegare. Questa vocazione marinara di Rossellini, a partire dal Fantasia sottomarina, si conferma nel suo amore per Amalfi e si ritrova tutta nella magnifica sequenza finale di Appunti biografici, realizzato da Egisto Macchi nel 1964, in cui il regista si allontana alla guida di una piccola barca a motore piena zeppa di bambini. Psychodrame rappresenta il primo tentativo di un cinema che non solo cerca l’uomo ma prova a farsi strumento “scientifico” di questa ricerca, è la prima opera di Rossellini ad essere preceduta da una presentazione, cosa che negli anni seguenti, a partire dal successivo L’India vista da Rossellini, considerato finora il primo lavoro televisivo, diventerà una prassi e spesso sarà Rossellini stesso ad introdurre e commentare il film. In questo caso il regista affida al presentatore il compito di chiarire fin da subito che non vi è nessun intento descrittivo né documentale: “Il film non è la descrizione del meccanismo dello psicodramma, né del suo utilizzo per scopi terapeutici. È un film che mostra un esperimento durante il quale J. L. Moreno e la sua assistente Anceline Shutzenberger hanno utilizzato lo psicodramma per cercare di liberare le risorse creative di alcuni interpreti, facilitando la loro spontaneità e la loro percezione dell’altro nell’interpretazione drammatica”.
La liberazione dunque è lo scopo, nessun fine terapeutico, Rossellini continua a non credere nella medicina psichiatrica e a non farsi complice delle pratiche finalizzate al controllo della mente e delle emozioni. È chiaro quindi perché sia stato scelto lui, il regista della Liberazione, che ha liberato il cinema dalle catene del set, della recitazione, del professionismo; il cineasta che più di chiunque altro lavorava da anni a far uscir fuori l’umanità e non l’interpretazione dai suoi attori. Incontrando Moreno, il guru mondiale dello psicodramma, Rossellini cerca per la prima volta un confronto con la scienza, con un metodo di ricerca scientifico non molto distante da quello estetico che aveva praticato nei suoi film, a partire dal lavoro con i non attori fino allo spiazzamento della Bergman a Stromboli con l’azione drammatica che prende vita dall’atto della sua sola presenza spaesata e spaesante. Ancor più evidenza psicodrammatica è lo scavo nella psiche degli attori, la ricerca attraverso l’azione creativa del proprio vissuto per liberare le nostre paure, che segna Viaggio in Italia e ancor di più La paura appunto, toccando, in questo senso il vertice sublime (insieme alla Magnani de La voce umana) nella Giovanna D’Arco al rogo, opera subito precedente a Psychodrame, in cui l’altro è sempre (il) fuori campo.
Rossellini dunque non descrive il metodo di Moreno, lo osserva, lascia la direzione allo specialista, tant’è che il titolo completo è Psychodrame - Trois essais filmées dirigées par J. L. Moreno, e tiene per lui “l’esperimento”, termine guida dal quel momento in poi del suo cinema, che metterà anche nel nome della Scuola Nazionale di Cinematografia trasformandolo in Centro Sperimentale di Cinematografia. Il regista di Europa ‘51 trova conferma della necessità delle immagini per indagare i meandri della mente, che siano le macchie di Rorschach o i disegni e grafici che usa, nelle due parentesi in studio che racchiudono Psychodrame, lo psichiatra americano Jim Einis (così nei titoli ma probabile si tratti di Jin Ennis) per spiegare ai telespettatori cos’è uno psicodramma. Non basta la parola per avventurarsi nell’inconscio, non basta neanche a Moreno che infatti utilizzerà ancora la pellicola a scopi terapeutici (come in modo diverso farà anni dopo Basaglia a Trieste) ma che qui, mentre gigioneggia nei panni del regista, non trova mai il dramma. Rossellini questo lo sa, ma constata che allo psichiatra interessa la conferma delle proprie tesi, della trasmissibilità del suo metodo, che infatti passa a sua figlia, come pure lascia che a spiegarlo sia la sua assistente, cose anche queste già estremamente praticate da Rossellini in passato (le regie affidate a Lizzani, Fellini, Monicelli) e che continuerà a sperimentare nel futuro (le opere lasciate dirigere al figlio Renzo o poi a Beppe Cino).
Moreno è goffo nei panni del regista perché interessato a verificare le proprie ricerche e infatti non trova null’altro che l’esposizione del proprio metodo, ci sarebbe voluto un cinico istrione come il John Huston/Hanneman di Welles per stappare le menti degli aspiranti attori presenti nel piccolo studio televisivo, mentre qui la sociometria è troppo presente con la sua vocazione misuratrice. La visione di Rossellini è invece tesa allo smisurato, all’incommensurabile contenuto nell’uomo, vero oggetto della sua ricerca. “Nella società moderna l’uomo ha un bisogno enorme di conoscere l’uomo. La società e l’arte moderna hanno distrutto completamente l’uomo. L’uomo non esiste più e la TV aiuta a ritrovare l’uomo. La TV, essendo un’arte ai suoi inizi, ha osato andare alla ricerca dell’uomo.” Così dirà due anni dopo, tornato dall’India, conversando con Bazin e Renoir sulla televisione, con quest’ultimo che con Le testament du Docteur Cordelier, messo in onda l’anno successivo, avrebbe ancora una volta mostrato la sintonia e la comunione di sguardo e d’intenti con Roberto Rossellini.
Dall’esperienza Psychodrame, l’uomo che si stava separando da una delle grandi star della storia del cinema per avventurarsi a sfatare il mito delle Indie, si porta dietro la conferma che non è con la regia che si ottiene la liberazione delle forze creative e creatrici, che non c'è nulla da reggere, semmai da aiutare a abbandonare. Ma forse Rossellini capisce da subito che in uno studio televisivo non v'è regia né liberazione possibile, che in quella direzione si sarebbe trovato soltanto la spettacolarizzazione delle emozioni, difatti soprattutto nelle opere televisive non praticherà lo studio scegliendo sempre ambienti naturali e spazi aperti. Quanto Psychodrame rappresenta una tv europea delle origini, con i suoi intenti sperimentali didattici e scientifici, tanto contiene in sé i prodromi della tv dei naufraghi, degli amici, dei famosi passati e futuri. Se si sostituisce l’atteggiamento professorale e patriarcale di Moreno con il sadismo cinico dei presentatori odierni, se agli stacchi lunghi, alle scenografie spoglie, alle fragili immagini 16mm (girate anche da Claude Lelouch) si sostituiscono le luci, la densità dell’hd e la moltiplicazione delle camere, allora quei poveri cristi che in Psychodrame provano a essere padre e figlio senza spirito né santità, che mai saranno famosi, sono i progenitori di quelle donne e quegli uomini truccati e urlanti che popolano oggi i teleschermi. Come Welles in The Other Side of the Wind sublima e anticipa le immagini (dal cinema alla tv alla pubblicità alla fotografia fino agli smartphone) di almeno quattro decenni successivi, così Rossellini con Psychodrame registra immediatamente, nel 1956, quelli che sono i rischi connaturati a un uso distorto del mezzo televisivo, che a noi appaiono così chiari oggi, dopo la caduta di qualsiasi intento o parvenza di finalità che non siano il controllo delle menti e il commercio, cosa a cui proverà strenuamente ad opporsi fino alla sua morte.
Perché Welles e Rossellini vedono sempre, anche dopo morti, anche nel 2018 o 19 o 20, un altro orizzonte. Magari se allora questo esperimento fosse stato mandato in onda ci sarebbe stata un’occasione in più per riflettere sul baratro spettacolare, ma è più probabile che qualcuno avrebbe accelerato il processo di “liberare le risorse creative di alcuni interpreti, facilitando la loro spontaneità” per dare sfogo e spettacolarizzare i peggiori istinti e sentimenti covati dall’uomo contemporaneo.