"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Chime/Cloud/Serpent’s Path (Kurosawa Kiyoshi)

Monday, 24 March 2025 11:40

Ombre si affollano

Arturo Lima

Chime, Cloud, Serpent’s Path. Tre film in un anno. Forse faceva bene qualcuno a paragonare Kurosawa Kiyoshi a Jacques Tourneur. Parliamo infatti di ombre che si agitano sul bordo tra il quotidiano e il soprannaturale. Chime è quasi inesplicabile, Cloud indaga il maligno dell’Internet fingendo di essere un action movie, Serpent’s Path è uno stranissimo auto-remake per riflettere sulla struttura opaca del proprio filmare. Questo è Kiyoshi: più la narrazione si dissemina tra derive e piani paralleli, più accresce la tensione per qualcosa di indefinibile; più i movimenti sono semplici, più vengono sferzati da un vento inquieto, cupo. Apparentemente nulla accade, o forse è proprio il ‘nulla’ il soggetto prediletto: suono, nuvola, ripetizione. Le ombre si affollano appena sotto la superficie della vita ordinaria, anche se in questa triade di film colpisce una sensazione metallica di origine tsukamotiana, uno stridere ferroso che svuota le inquadrature, un senso di morte grigia, paurosa. La minaccia avanza con fare pacato, ma è quello il momento in cui tutto si incrina. C’è un’idea di instabilità e insieme una sete di sangue, che vengono tuttavia ridotte all’osso fino all’astrazione. A fronte di una metodicità a dir poco estrema (di narrazione e di messa in scena), cresce una minaccia prima di tutto psichica, che invade implacabile l’ambiente (urbano) e i corpi che lo abitano. È qualcosa di mentalmente deviato che con lugubre inesorabilità intacca ogni cosa come un agente atmosferico sconosciuto. In fondo quello che succede in Chime risulta un unico filo rosso che lega i tre film: c’è un rumore sinistro e assordante ma non tutti sono in grado di sentirlo, e coloro che riescono a percepirlo non è detto che siano sulla frequenza più giusta rispetto a quelli che non ne sono affetti. L’idea è quella di un’apocalisse sorda che si insinua in uno spazio ordinario e lo sovverte con un semplice cambio di tono, o di luce. È nel modo inquietante in cui questo breve e deciso cambiamento avviene che forse troveremo un giorno il lascito di cinema di Kurosawa Kiyoshi

 

 

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