"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

The Box Man (Gakuryū Ishii)

Monday, 24 March 2025 11:30

Memorie dal sottosuolo

Edipo Massi

Sembra che Kōbō Abe, per l’adattamento del suo romanzo più allucinatamente kafkiano, avesse chiesto a Gakuryū Ishii (al tempo ancora Sogo Ishii) di fare un film il più possibile coinvolgente per il pubblico. La cosa, vista la struttura a dir poco stratificata nervosa e quasi psichedelica del romanzo, aveva molto sorpreso e preoccupato il regista. A maggior ragione, se si pensa che all’epoca (fine anni novanta) Gakuryū era in procinto di girare il film in Germania, forse con l’idea di tornare all’industrial che rompe gli argini e tracima tutto (come il romanzo) che aveva filmato dieci anni prima nel super-metallicoi>Halber Mensch (oi>½ Mensch) sulla visita in Giappone dei grandi Einstürzende Neubauten. Così, quando nel 1997 il film fu interrotto e proprio cancellato il giorno stesso dell’inizio delle riprese, gettando Gakuryū Ishii in una lunga depressione, comincia un lungo processo di rielaborazione dell’idea stessa del film che conduce ventisette anni dopo alla realizzazione dii>The Box Man (presentato alla Berlinale 2024, nel paese dove sarebbe dovuto essere girato). Alla ricerca di un modo più malleabile per rispondere alle domande che l’epocale (e leggendario) romanzo pone? Non penso chespan lang="en-US">Kōbō Abe intendesse questo. Non certo lui, che aveva scritto e sceneggiato i grandi film di Hiroshi Teshigahara riuscendo sempre a toccare l’essenza kafkiana nello splendore inquietante (nell’angoscia connaturata a qualsiasi forma di splendore), non nel rovello. Il punto è che questo romanzo letteralmente incarna il Giappone (e in parallelo una linea di cinema giapponese che potremmo tracciare da Ozu a Imamura e da Wakamatsu a Tsukamoto) nella sua essenza mutante post-atomica tsunamica, ma con una visione cesellata, scolpita. Tutto è visto dal foro-cinemascope di una scatola che appare negli angoli delle strade di Tokyo di giorno (chi la vede è colpito dalla maledizione e vuole appropriarsene, vuole diventare il nuovo box man) e scompare nell’ombra la notte. Kafka appunto (e via Kafka, il Dostoevskij dispan lang="en-US">Memorie dal sottosuolo). La tana, il sottosuolo: ogni passo – nel romanzo e, con lucidità sopraffina e ironia atroce, nel film – è diretto verso uno strato inferiore, eppure inabissandosi, sottosuolo dopo sottosuolo, sembra avverarsi una realtà più terrena, forse più umana, che in superficie.

 

 

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