"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

INTERZONE - The Shards (Bret Easton Ellis)

Sunday, 14 July 2024 10:42

Lorenzo Esposito, Daniela Turco

Demoni

 

 

Vorrei cominciare con una domanda. Parlare di questo libro di Bret Easton Ellis The Shards – e già sul titolo ci sarebbe da dire: le schegge, ma anche i frammenti… – in una conversazione che va a finire su una rivista che si occupa ed è occupata dai film, dal cinema: quale è stata l’intensità generata da questo romanzo che porta a questo passaggio? Era un po’ che non mi succedeva di sentirmi letteralmente chiamata dal testo in modo tanto imperativo: aprimi, leggimi, devi andare avanti. Un testo neppure così breve, più di settecento pagine. E allora ho pensato che Bret Easton Ellis stesso, che è da tanto tempo uno scrittore e ha cominciato giovanissimo (ricordo di aver letto Less Than Zero già l’anno successivo in cui uscì, quindi nel 1986), in molte interviste diceva che il cinema era importantissimo per lui e che voleva portare i modi e i tempi del romanzo dentro e verso il cinema. Ecco, la cosa paradossale è che mi sembra gli sia riuscito l’esatto contrario, il movimento opposto, e cioè di portare il cinema dentro il romanzo. Credo che ci siano delle figure – pensa al primo piano, al piano sequenza, al fermo immagine – legate a dei punti specifici di questo ultimo romanzo. Non secondaria in questo senso la coincidenza fra il nome dell’autore e il personaggio del romanzo, coincidono il nome e interi pezzi di vita. Mi piacerebbe cominciare a parlare di queste figure di cinema all’interno del romanzo.

 

 

In effetti questo movimento che lui pensava andasse verso il cinema e che invece è tornato verso la parola, riguarda da vicino questa rivista, o per lo meno l’idea originaria di questa rivista di riflettere su qualcosa che è in circolo dall’immagine alla parola e dalla parola all’immagine. Detto questo, io non sono molto stupito che Bret Easton Ellis – come del resto molti cineasti negli ultimi anni che, dopo aver affermato questo sarà il mio ultimo film, ne hanno poi fatti altri dieci – quando qualche anno fa dice basta col romanzo e comincia a scrivere sceneggiature per Hollywood e serie tv, debba fare i conti con il fallimento dei progetti di film e con la non esatta riuscita delle serie in questione. Come se poi, quando ha a che fare con l’immagine, si rende conto quanto fosse già interno alla scrittura, alla sua scrittura, quel lavoro sull’ambiguità dell’immagine. Non escludo che a un certo punto abbia sentito il cinema come non abbastanza, e sia tornato al romanzo.

 

 

Però per esempio c’è il caso della collaborazione con Paul Schrader per The Canyons.

 

 

Certo, dove tuttavia io vedo Schrader come la figura fondamentale, o almeno quella che ha un’idea precisa – e devo dire sempre più determinata ed estrema proprio a partire da The Canyons – del cinema e di cosa vuole fare col cinema. Rileggevo il libro sul cinema di Tarantino, Cinema Speculation, dove la posizione di Schrader all’interno del gruppo di giovani rivoluzionari protagonisti per così dire dell’assalto a Hollywood negli anni settanta, emerge con una forza inusitata e forse mai analizzata prima. Schrader è non solo una figura nodale, regista e sceneggiatore (e critico), ma forse quello che si prende più rischi e fa meno compromessi. Tutto il racconto che Tarantino fa sul lavoro di Scorsese in Taxi Driver e soprattutto di John Flynn (in combutta col protagonista William Devane e il nuovo sceneggiatore Heywood Gould) non dico per ammorbidire ma di sicuro per non essere travolti dalla posizione politica e visionaria a dir poco estrema delle sceneggiature originali di Schrader, è semplicemente incredibile e appassionante. Cosa faceva davvero paura a tutti in quelle sceneggiature? Di fatto il modo diretto e verrebbe da dire letteralmente sanguinario con cui Schrader vuole mettere in scena l’orrore americano. Nel suo Taxi Driver Travis Bickle diventa un vendicatore perché odia i neri. Punto. Nel suo Rolling Thunder Charles Rane prima di tutto odia i messicani. E se pensi alla mattanza finale, nella versione di John Flynn William Devane e Tommy Lee Jones si vendicano solo dei messicani che hanno ucciso la famiglia di Charles, mentre nell’idea di Schrader fanno fuori tutti i presenti, anche le incolpevoli prostitute, e mentre sparano si mettono a parlare fra di loro in vietnamita! Più chiaro di così… Ecco, se pensiamo ai romanzi di Bret Easton Ellis, lui forse quelle sceneggiature le avrebbe capite ed amate subito, ecco perché il suo cammino incrocia quello di Schrader.

 

 The Shards (Bret Easton Ellis)

 

Si, fra i due c’è un rispecchiamento, un afflato comune, soprattutto attraverso lo sguardo sulla città…

 

 

Questo è verissimo. In The Shards c’è la stessa aria di edonismo e decadenza, Los Angeles città di morti viventi, dove sono già morti proprio i giovani che ne dovrebbero incarnare il futuro. La città delle macchine ovunque che poi improvvisamente trovi vuota e decrepita. Quante volte – ed è così strano leggerlo – in The Shards si dice mi metto in macchina e vago senza meta per le strade vuote, non c’è nessuno.

 

 

E per di più siamo negli anni ottanta, davvero come se fossimo fuori dal tempo… Torno un attimo al rapporto con l’immagine. Tutto nel romanzo ha inizio con l’immagine di una donna che Bret, il protagonista, vede sul ciglio della strada, una vera madeleine da cui parte tutto il flusso di memoria. Non la nomina nemmeno, lo si scopre solo alla fine quale delle donne del romanzo è lei. E poi c’è il momento, altrettanto cruciale, all’inizio del romanzo quando Bret vede per la prima volta il suo alter ego Robert Mallory – “assurdamente bello”, scrive Bret - mentre risale lentamente il corridoio nella platea di un cinema dove è andato a vedere la prima di Shining.

 

 

Nulla di meno casuale.

 

 

Io pensavo all’incipit di Shining – quello fatto in realtà con le immagini di Ridley Scott: la macchina che sale fra i costoni della montagna, ecco, un libro come The Shards, che fluttua continuamente sul concetto di identità non poteva non avere al suo interno un film come questo. Il soggetto si divide e si dissemina e, soprattutto, c’è la follia di uno scrittore, anche se Fredric Jameson direbbe no, non era uno scrittore, era un wanna be, avrebbe voluto essere uno scrittore.

 

 

Siamo tutti così, no? Shining è ancora oggi uno dei film più potenti mai fatti sull’immagine che incarna insieme auto-riflessione e frattura dell’identità. Mi ha sempre stupito che anche Spielberg, il cui orizzonte poetico è in apparenza meno spinto sul crinale della follia, in Ready Player One è proprio a Shining che dedica la citazione più corposa, addirittura cercando di penetrare una delle sequenze più famose, come se davvero volesse carpirne il segreto.

 

 

Beh, Shining è anche un film apertamente sperimentale, non c’è da stupirsi che altri registi siano interessati a capire come è stato fatto.

 

 

Si, così come è interessante notare che né Stephen King né lo stesso Bret Easton Ellis sono contenti della versione di Kubrick… Però ecco, il punto è quello che dicevi tu prima. Shining richiama la posizione scissa dello scrittore e in particolare dello scrittore (e protagonista, appunto) di The Shards. Bret Easton Ellis si siede, comincia a scrivere e subito è parte del crollo di identità, soggetto esploso in mille schegge di sé (esattamente come Jack Torrance nell’Overlook Hotel). Non è la prima volta, lo sappiamo, per esempio in Lunar Park lo sdoppiamento dello scrittore veniva esplicitato già nel lancio pubblicitario con le due facce sovrapposte. Ma The Shards non è solo sdoppiamento, è davvero una cosa a metà fra il frammentarsi e l’irradiarsi inquieto dell’identità. Io scrivo di me che è l’altro, e c’è pure il mio doppio, e tutti gli altri personaggi, anche se realmente vissuti, diventano mie proliferazioni al punto che sono costretto a eliminarli fisicamente. Ecco, tutto questo mosaico schizofrenico si avvicina molto all’idea di ambiguità dell’immagine cinematografica che più ci appassiona. Forse è per questo che The Shards è il primo libro in assoluto che un Bret Easton Ellis giovanissimo voleva davvero scrivere se averne i mezzi come lui stesso ha dichiarato.

 

 

E scrive Less Than Zero, che ne è già una variazione, anzi, lo scrive anche il Bret protagonista di The Shards mentre la vita lo sta mettendo di fronte al materiale che sarà poi alla base di The Shards. Per tornare al cinema, la cosa che per me è la più potente del romanzo è l’aver introdotto un’idea assoluta di fuori campo. Nonostante venga data al lettore una serie ben precisa di elementi, resta molto difficile identificare lo scrittore vero e proprio del libro.

 

 

Capisco cosa intendi. Per esempio il personaggio di Robert Mallory, che è il doppio del Bret personaggio del libro e, chissà, anche il vero scrittore, Mallory è veramente un personaggio. E così via. Il lettore è continuamente costretto a leggere mantenendosi in equilibrio su almeno due binari, è catturato nella scissione.

 

 

Non a caso Ellis è un lettore di Dostoevskij. Ora non ricordo più se in Glamorama o Imperial Bedroom ma più volte cita Memorie dal sottosuolo. E per The Shards c’entra molto Il sosia

 

 

E tutti i suoi killer sono dei Raskolnikov…

 

 

Quello che fa paura di The Shards è la capacità della scrittura di essere lineare, tersa, neutra. Ricordo di aver letto un articolo anni fa sul New Yorker che in questo senso lo metteva in rapporto a Gertrud Stein.

 

 

Si, anche se con sprazzi faulkneriani, interi paragrafi-fiume costruiti su una sola frase che si accavalla strapiombo dopo strapiombo, che lo avvicinano ai classici americani, ma con un’idea, una coscienza del classico colto nel punto di una decadenza lunga, un po’ come dicevamo prima per Los Angeles.

 

 

Questa linearità è paurosa perché legata d’altro canto a pezzi di realtà vera, tu senti Bret Easton Ellis che davvero riesce a riattivare pezzi di sé diciassettenne, senti che certe esperienze lui le ha effettivamente vissute. E nonostante l’ovvia lavorazione successiva, sono queste schegge di realtà a imporsi con forza impressionante.

 

 

Il lato psicanalitico è cruciale. Come si fa a mettere le mani sul proprio rimosso e riattivarlo? Quando Ellis da ragazzo – dopo i fatti che in parte costituiscono la narrazione di The Shards – lascia Los Angeles e va a studiare nel college di Bennington nel Vermont, il rimosso è il suo compagno di viaggio.

 

 

Si, mi chiedo di quale trauma. In questo periodo contemporaneamente, per quegli strani incroci letterari, mi è capitato di leggere Stella Maris di Cormac McCarty, le lunghe sedute di analisi di una ragazza molto intelligente e piena di problemi. Lei è un piccolo genio della matematica. A un certo punto, nelle conversazioni con lo psicanalista, si fa questa osservazione: non è che quando un paziente fa una confessione al suo analista ne fa per coprirne un’altra più grande che non vuole che venga fuori? E allora mi chiedo, qual è il trauma che sottende tutto The Shards? Per questo parlo di fuori campo…

 

 

Io molto banalmente ci sento la storia di una giovinezza che, dato anche il contesto sociale di provenienza, consegnava a questi ragazzi la coscienza non richiesta che tutto sarebbe presto finito, finito il sogno a occhi aperti di una vita libera e agiata (ville, piscine, macchine, droga, musica) e Los Angeles ‘città che ci appartiene’.

 

 

Beh si, siamo in pieno edonismo reaganiano.

 

 

Il punto è che loro sono messi nelle condizioni di viverlo in prima persona e però contemporaneamente di elaborarne il lutto, da qui il cortocircuito che colpisce alcuni di loro, anzitutto lo scrittore-protagonista.

 

 

Tra l’altro nel 1981, cosa che non viene toccata mai in nessun punto del romanzo, succede che gli Stati Uniti prima di altre nazioni siano investiti dalla scoperta dell’HIV. Io – ripeto, benché Ellis non lo tiri mai in ballo – penso che questo fantasma aleggi sotterraneamente e che partecipi alla creazione dell’atmosfera di catastrofe sempre sull’orlo di avverarsi che percorre il libro.

 

 

In effetti, in tutte le scene di sesso chiaramente non c’è alcun uso di contraccettivi.

 

 

Per di più in un romanzo dove di momenti propriamente hard ce ne sono molti, e tutti legati a una dinamica vedere/essere visti che comunque è sempre stata presente nei suoi lavori, ovviamente in American Psycho, ma soprattutto in Glamorama che sostanzialmente è la storia di una fuga dall’America all’Europa dove il protagonista Victor Ward, un altro dei suoi tanti alter ego, è sempre tallonato, seguito, spiato.

 

 

Il lato paranoico dello sguardo.

 

 

Paranoico e poliziesco, pensa al furgoncino beige qui in The Shards che appare e scompare anche in posti lontani l’uno dall’altro e non se ne ha mai una qualche spiegazione, quasi fosse un’allucinazione necessaria.

 

 

E anche la casa dove apparentemente si nasconde o nasconde qualcosa il suo alter ego Robert Mallory e dove lui stesso – Bret, il personaggio – si intrufola scoprendo fondi e doppi fondi, non si viene mai a sapere se è vera oppure un’altra proiezione schizofrenica.

 

 

La realtà e i soggetti all’interno della realtà fanno continuamente i conti con queste opacità che poi forse sono vere e proprie fratture. Ma il punto è che il trauma al fondo di tutto resta celato, e trovare uno scrittore capace di proteggere il mistero in questo modo e fino alla fine è davvero emozionante…

 

 

C’è un’altra dimensione di questa realtà opaca che mi interessa molto, e riguarda la posizione stessa dello scrittore come grafomane. Dal romanzo si evince, anzi viene detto, che già allora, durante gli eventi – veri e fittizi – che vengono riportati, Bret prendeva continuamente appunti, altrimenti non gli sarebbe possibile essere così preciso nel segnalare per ogni situazione la sua colonna sonora, canzone per canzone. Quindi teneva dei diari… Ripenso a Kafka… O meglio ripenso a una situazione temporale in cui la scrittura ha uno spazio preponderante nella vita, e nonostante questo rimango sempre molto colpito di scoprire quanto certi scrittori scrivono e mi chiedo dove trovino il tempo per scrivere tutto quello che scrivono, non solo i romanzi ma appunto diari, lettere… E sono poi proprio quelli che dicono non voglio scrivere più, bruciate tutto…

 

 

C’è un demone che li possiede, in Bret Easton Ellis lo senti a ogni pagina e a ogni sonoro. In The Shards uno dei momenti più potenti e paurosi è quando arriva questa sorta di cassetta snuff con il suo nome sbagliato scritto sopra… a proposito di doppio, Brett con due t e non con una… Devo dire che comunque tu mi hai scioccato, quando prima di questa conversazione parlando del libro hai tirato delle conclusioni che, dannazione, mi sono detta, è proprio così, Matt lo lascia e deve essere eliminato, cioè c’è tutta una violenza sotterranea pronta a esplodere…

 

 

Li vuole punire tutti. Ecco il rimosso, scritto e riscritto, ri-mosso…

 

 

Lui probabilmente aveva bisogno che la scrittura gli facesse ri-considerare, ri-tornare determinate cose solo apparentemente celate e che arrivano in forma di shards, schegge e che poi vanno ricomposte. Mi chiedo se questa concatenazione – per usare un termine caro ad Artaud – non sia qualche cosa di più grande, di più difficile da decifrare. Io per esempio mi sono sempre chiesta perché uno come Bret Easton Ellis, un conservatore, un esponente di una classe sociale che io combatto, suscita questo fascino su di me. Mi sono risposta pensando se, oltre a Dostoevskij, non ci fosse anche l’idea di Balzac di collegare testi anche distanti fra loro e unirli segretamente in un unico progetto che per Balzac è stata la Commedia umana. Ogni romanzo funziona come a sé stante ma ha dei rapporti con gli altri, Imperial Bedroom in fondo ritorna a Less Than Zero, Glamorama è una sorta di mutazione di American Psycho e così via. In The Shards c’è proprio il desiderio di riprendere un mondo di cui lui faceva parte e rivelarlo nel vuoto pneumatico che rappresentava. In un’intervista molto bella che aveva fatto per “il manifesto” nel 2010 Bret Easton Ellis racconta una storia molto strana. A New York, durante una presentazione di Lunar Park, si presentano tre tipi che sembrano dei boscaioli e lui quando li vede pensa questi sono i classici che ora tirano fuori una copia di American Psycho per farsela firmare, e invece iniziano a parlare dei suoi libri con grande competenza e a un certo punto gli dicono che il loro preferito è Glamorama e che ne hanno scoperto il codice segreto. Glielo spiegano, ed è vero, Bret E. Ellis si rende conto che avevano letto il libro con grandissima attenzione.

 

 

Non ho difficoltà a immaginare che la storia dei tre boscaioli Bret Easton Ellis se la sia inventata di sana pianta, sembrano suoi personaggi, o insomma la situazione paranoica di un suo romanzo.

 

 

Molto probabile. E infatti il codice segreto che gli rivelano lui non lo dice nell’intervista. Il punto è che io credo ci sia una trama non evidente che collega tutti i suoi libri.

 

 

Allo stesso modo crea allucinazioni anche nel lettore. Perché vuole uccidere tutti i suoi compagni? Di cosa li ritiene colpevoli? Probabilmente di essere ciechi, non sufficientemente consapevoli di quello che tu hai giustamente definito il vuoto pneumatico dell’epoca che rappresentano, e quindi soprattutto di essere politicamente nulli e, in quanto tali, ricattabili, vittime del Capitale, diciamolo. E forse questo è anche il motivo per cui questo scrittore che viene da una classe sociale così lontana da noi ci interessa così tanto. Va analizzata questa rabbia per cui lui decide che la soluzione è ucciderli.

 

 

Una rabbia anche nei confronti degli adulti, questi genitori assenti, chi in viaggio, chi completamente indifferente, o ubriaco o strafatto, come la madre di Debbie…

 

 

Ora mi viene in mente una cosa sorprendente, non so come non ci ho pensato prima. C’è un altro incredibile e un po’ inquietante punto di contatto fra Bret Easton Ellis e Paul Schrader. Sempre Tarantino racconta che nella sceneggiatura originale di Rolling Thunder, a un certo punto Charles Rane fugge da solo e va al cinema in un drive-in dovre proiettano Gola profonda (guarda caso) e per un attimo si gira verso la macchina parcheggiata accanto alla sua e dentro, anche lui da solo a questa proiezione, vede il Travis Bickle di Taxi Driver. Immagina il godimento di Ellis a leggere che Schrader fa incontrare questi due suoi rabbiosi personaggi, forse anche per lui degli alter ego, che di lì a poco si vendicheranno di tutti.

 

 

La morte violenta, l’omicidio che passa per una dissoluzione dell’io che passa a sua volta per un rispecchiamento con l’io narrante, mi fa venire in mente l’ingegnere che diceva…

 

 

L’ingegnere intendi Gadda…

 

 

Certo, l’ingegner Gadda diceva che l’io è il più sudicio di tutti i pronomi e lo diceva all’interno di un romanzo in cui si compie l’omicidio efferato della madre, anche qui un omicidio innominabile e oscuro...

 

 

Il titolo di quel romanzo andrebbe bene per uno di Bret Easton Ellis.

 

 

Assolutamente, in tutti i libri di Ellis c’è una precisa cognizione del dolore, però, lo ripeto, il mistero viene protetto fino all’ultimo e questo, in un panorama della letteratura contemporanea dove esiste una verbosità insistita per me insopportabile con questa spinta diffusa a dire e a svelare tutto, mi sembra una cosa unica e preziosa…

 

 

Si, al punto da non sapere più quali sono i limiti fra realtà e allucinazione. Quando per esempio il Bret personaggio del romanzo, diventato scrittore famoso, incontra il suo amico Thom, nulla viene veramente svelato e il lettore si chiede come possa Thom starsene lì tranquillo davanti al ragazzo divenuto uomo che ha cercato di ucciderlo. Lo perdona? Oppure è Bret che allucina l’apparizione di Thom nella speranza che uno di questi ragazzi e ragazze lo perdoni? E poi di cosa devono perdonarlo? Hai ragione tu, qual è il trauma? Non è che lui abbia veramente ucciso i suoi compagni di scuola… O forse sta chiedendo perdono già solo per il fatto di aver infine scritto il libro sulla loro giovinezza?

 

 

In un’intervista dice che una delle ragazze che leggendo il libro si era riconosciuta gli ha scritto su Facebook: tra tutti i nomi che potevi scegliere, Debbie è il più orrendo. Dunque forse una ragazza lui l’ha effettivamente avuta allora…

 

 

Fra l’altro nel romanzo è chiaro che tutti i suoi amici, soprattutto le ragazze, sapevano benissimo di lui, della sua omosessualità, ma lo accettavano senza troppi problemi, era lui a non accettarsi, anzi, quando capisce che i suoi amici sanno, ecco un motivo in più per eliminarli. Nessuna intenzione di porsi il problema del coming out.

 

 

Tranne quando va da Susan…

 

 

Però pensa bene di stritolarle la mano per minacciarla… Comunque, ora ci stiamo addentrando nei dettagli del romanzo ma il punto è un altro…

 

 

Si, io credo che lui abbia raggiunto uno stile molto particolare in cui tutto è esposto e tutto è nascosto allo stesso tempo e non avrebbe mai potuto scriverlo da giovanissimo, come lui stesso afferma. Mi chiedo cosa si possa ancora scrivere dopo un libro così.

 

 

Sta girando un film...   

 

 

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