"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Unsane (Steven Soderbergh)

Saturday, 05 May 2018 08:54

iPhone Cinema

Simone Emiliani

Forse ogni volta è un nuovo esordio. Quello che secondo Soderbergh dovrebbe essere l’ultimo film fa ripartire un’altra volta il suo cinema. Tra Logan Lucky e Unsane, lontanissimi e vicinissimi, c’è l’ultimo film e insieme un altro debutto. La rapina dei fratelli Logan durante la gara ha le tracce del film Disney che il cineasta non ha ancora fatto con le precise geometrie che sembrano arrivare dalla solidità del cinema di Richard Brooks, in questo caso da Il genio della rapina. Unsane invece è l’altra anima di Soderbergh, quella non solo più sperimentale (perché non si può parlare di sperimentalismo nella sempre più magnifica follia del suo cinema). Ma proprio quella in cui ogni inquadratura successiva diventa uno choc che frammenta ancora più l’immagine, la ferisce, crea un dissidio, ma anche una duplicazione corpo/mente. Tutto il contrario di quella, sempre esaltante, solidità di Logan Lucky. Emergono qui tutti gli ‘effetti colaterali’ del suo cinema’, i contagi, le ‘torbide ossessioni’. Realtà, illusione, pazzia. Sawyer cerca di ricominciare la propria vita e cambia città per sfuggire a uno stalker. Ma all’improvviso si ritrova intrappolata in un istituto psichiatrico.

L’immagine del mostro, la prospettiva distorta. Claustrofobie da Fuller (Il corridoio della paura), ma anche da Carpenter (The Ward). E l’annegamento dentro nuovi abissi dove Claire Foy si ritrova con la mente sana (?) nel corpo malato della clinica come Angelina Jolie nell’eastwoodiano Changeling. Ma ci sono anche, come naturale riciclaggio di una continuità tra un film e l’altro (e non solo), un film che potrebbe essere anche parte dell’estensione di The Knick, con i corridoi/labirinti che arrivano dall’ospedale Knickerbocker. Tutto dentro un iPhone. Con una rapidità, mobilità incredibili, tutto all’insegna di una leggerezza dentro le forme di un thriller psicologico che però si frantuma e va in mille pezzi. L’iPhone che non solo si appropria degli spazi, diminuisce le distanze tra lo sguardo e il corpo (ma forse Soderbergh già aveva inventato l’iPhone prima della Apple nel suo folgorante primo debutto, Sesso, bugie e videotape con cui ha vinto subito la Palma d’oro a Cannes ad appena 26 anni). Dove  David, il responsabile della clinica che la perseguita, appare ogni volta con l’inconsistenza di un demone ma anche con una malinconia che arriva da De Palma. Lo sguardo voyeur non ha più soltanto l’ossessione fisica. In uno spazio che appare impermeabile (la camera d’isolamento insonorizzata), ma è sempre presente anche quando non si vede. Arriva dalla rete, si appropria delle informazioni, delle tracce. E l’iPhone di Soderbergh arriva anche lì dentro, fa avvertire tutte le potenziali mosse. Anche del telefono di un complice che può essere rintracciato. Non c’è via di fuga in un cinema invece incredibilmente aperto, esteso. Senza finale perché il cinema di Soderbergh non ha più finali. Più proiezioni della mente che corrispondono a più identità. Sawyer/Claire Foy, da corpo dentro il film, diventa lei stessa l’attrice che costruisce tutto il film. Attraverso le sue azioni/visioni (la ripetizione della scena in cui quotidianamente è costretta a prendere la medicina ha un’inventiva nelle varianti che pochissimi cineasti, forse nessuno, oggi, si possono permettere). Soderbergh ha bisogno anche di questo. Di una protagonista reale/costruita che si trascina da sola tutto il film. Come Gina Carano in Knockout o Sasha Grey, già figura doppia in The Girlfriend Experience. Così come lui stesso si moltiplica. Sempre ancora direttore della fotografia e montatore, con gli pseudonimi rispettivamente di Peter Andrews e Mary Ann Bernard. Perchè forse - e Unsane lo dimostra - queste stesse categorie sono messe in discussione. Ancora una volta sembra che si monti nel momento stesso in cu si gira. Lo sguardo. Il doppio. Dentro/fuori il film. Forse un B-movie 2.0. Forse no. Forse un’altra incredibile e strepitosa grande scommessa. Che ha tutta la densità narrativa per diventare un’altra serie tv. L’ultimo grande film di un regista che ha deciso di smettere. Prima di un altro esordio. La morte e la rinascita sempre più spesso coincidono.

 

 

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