Messico e nuvola
Michele Sardone
Ci sono due film giustapposti in Soldado: il film di guerra e il western.
Nella prima parte si predilige il punto di vista dall’alto, il mondo sembra una enorme cartina militare. La ripresa aerea dà la sensazione di dominio sul territorio attraverso la perlustrazione; la visione perpendicolare dei droni e dei satelliti fa percepire lo spazio come un sistema di cose schiacciato e bidimensionale, facilmente percorribile e ordinabile; le immagini rimandate dei visori termici degli elicotteri riducono le persone a ombre sgranate, grigie o verdi. Sono delle proiezioni necessarie, per dare a chi le guarda l’illusione di avere tutto sotto controllo: il mondo non è mai stato analizzato come ora da molteplici occhi elettronici, sezionato in immagini sempre più limpide e definite, dovrebbe risultare chiaro e intelligibile, eppure tanto nitore insinua la sensazione di essere esposti a qualsiasi pericolo. Anche quando la camera scende a terra, compare puntuale la didascalia che indica la dislocazione della messa in scena, come se venissero poste di volta in volta immaginarie bandierine sulla cartina - del resto anche il cattivo super ricercato apparirà solamente come un puntino rosso su una mappa.
L’insieme di queste sofisticazioni serve pure per fornire a chi attacca l’indispensabile distanza tra sé e il nemico da colpire, per poterlo percepire come un semplice obiettivo da abbattere. In questa separazione è facile confondere persone in carne e ossa per dei fantasmi e, di contro, far prendere corpo alle fantasmatiche paranoie che affliggono le narrazioni occidentali: il terrorismo, il complotto delle grandi organizzazioni criminali, il nemico che si mimetizza fra i migranti, il narcotraffico. E tutte queste paranoie vengono fuse tra loro, al criminale viene data la definizione di terrorista, in Messico viene traslato l’Iraq, i poliziotti messicani diventano miliziani contesi da opposte fazioni.
La paranoia induce alla macchinazione, e quanto la paranoia è complessa e pervasiva, tanto più la macchinazione sarà sofisticata. Ma anche l’operazione meglio congegnata può incepparsi. Per far saltare tutto basta una nuvola di polvere: alleati e nemici si confondono ulteriormente, si scambiano i ruoli, si scoprono uguali fra loro. Il piano militare è andato all’aria, bisogna ricominciare daccapo, in un altro modo. Difficilmente si poteva scegliere qualcosa di più beffardo per scombinare un film di guerra e al tempo stesso di più classico per annunciare l’inizio di un western: una nuvola di polvere.
Di colpo cadono le varie sofisticazioni, si perdono droni e satelliti, niente più rielaborazioni grafiche, svaniscono didascalie e coordinate, persino chi ha progettato la macchinazione vorrebbe cancellare tutto senza lasciare traccia. La paranoia viene ricondotta a un più sano sentimento di solitudine.
Benicio Del Toro, il soldado del titolo, quasi con fare rituale (di notte, la scena illuminata dal fuoco) seppellisce le sofisticatissime armi avute in dotazione, tranne una pistola. Non indossa più la divisa da paramilitare ma jeans e una camicia a quadri, poi calca un cappello da cowboy in testa e poggia sulle spalle uno sciarpone di stoffa grossa. Sembra di assistere a un ritorno a una dimensione più lineare e immediata, quando buoni e cattivi erano facilmente distinguibili. Anche il modo di girare di Sollima risulta più fluido, come se si avvertisse il puro piacere di filmare una storia che si riduce a un uomo, la sua pistola, una ragazzina da salvare, e intorno il deserto e il suo immancabile corredo - piani lunghi, albe e tramonti, nemici in agguato. Forse solo una così radicale riduzione può permettere l’emergere dell’istanza morale, impossibile nell’artificiosità del film di guerra ma così necessaria nel western.
E qui c’è un ulteriore scarto, Sollima evita la tentazione di dare un messaggio edificante. La superiorità morale è un lusso per chi è innocente, ma nessuno lo è, neanche nel western, non lo sono nemmeno i morti. Sarà un non morto a chiudere la vicenda, o forse solo a troncarla, potrebbe iniziare un horror, ma si decide che è meglio finirla qui.