Donatello Fumarola
Dušan Makavejev: apolide balcanico grande spericolato precisissimo irriverente fragile possente ossessivo leggero caotico sapiente vitale politico sensuale ironico lacerante libero dolce spigoloso nudo. Gli aggettivi non bastano, e al limite bisognerebbe inventarne di nuovi, come lui in qualche modo ha inventato un modo di fare cinema tutto suo (con il supporto e la complicità di compagni di viaggio straordinari come Živojin Pavlović, Aleksander Petković, Želimir Žilnik, Karpo Godina), di scriverlo, di metterlo in scena, di girarlo, di rivoltarlo attraverso una dinamica dinamitarda che dalla censura di Stato alla censura di mercato non gli ha risparmiato nulla. Il suo cinema ha saputo trasformare la difficoltà, la pesantezza, la caoticità e l’orrore di questioni riguardanti l’esistenza umana in qualcosa di vicino a una canzone o a un tappeto volante, alla ricerca del segreto nascosto nel disordine.
Per una sintesi baldanzosa della personalità (e di alcune idee) di questo grande cineasta irregolare e sregolato, si potrebbe vedere il suo ultimo film, Hole in the Soul, un autoritratto prodotto nel 1994 dalla BBC scozzese girato tra Belgrado e Los Angeles.
Per una sintesi estrema e paradossale di cosa è (e cosa ancora sarebbe potuto essere) il suo cinema, è piuttosto illuminante l’incipit di un testo (l’idea di un film da farsi) di Makavejev scritto nel 2000 per il catalogo germaniano “La meticcia di fuoco” (Nei Balcani, dove i fiumi scorrono sopra i ponti): «Nei secoli che hanno preceduto l’invenzione del cinema, nei Balcani si estendevano due imperi, quello ottomano e quello austroungarico. Innumerevoli volte le loro frontiere si sono spostate da Oriente a Occidente e viceversa. Qua e là, specialmente lungo i loro confini, certi principati, staterelli autonomi, piccoli regni, hanno aumentato le proprie dimensioni e le hanno diminuite, proprio come nelle favole. Ho sempre desiderato fare un film d’animazione della durata di un minuto in cui queste mappe dei Balcani del secondo millennio si fondono in un gioco visivo degno di Norman McLaren (con un adeguato accompagnamento al pianoforte del virtuoso Oscar Peterson). In realtà nemmeno la vecchia Europa susciterebbe una migliore impressione in un simile approccio. C’è stato un tempo in cui tutta la costa orientale inglese apparteneva alla Danimarca. Utrecht era parte della Spagna, la Polonia e la Svezia scendevano fino al Mar Nero, mentre la Francia e la Germania arrivavano fino a Mosca per poi tornare là dove erano venute. Questo piccolo film mostrerebbe che tutto il mondo e non solo i Balcani si comporta come un’oca ubriaca.»