"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

STANLEY DONEN

Wednesday, 05 February 2020 22:42

Bruno Roberti

 

«Une femme est une femme non è una commedia musicale in senso stretto, ma ormai non è più un film semplicemente parlato. È un rimpianto sul fatto che la vita non sia in musica.»

 

(Jean-Luc Godard.)

 

Donen è un incrocio di colori, di gambe, di piedi, di mani, di occhi e naturalmente di immagini.

Incroci di film come di strade. E sui marciapiedi iridescenti si scivola. Movimento di mondo (direbbe Deleuze ). 

Parigi come una sorta di macchina celibe, di dispositivo desiderante. 

Audrey Hepburn, come una sorta di segno grafico, di elfo bisessuato e misteriosamente erotico, di sentimento del colore, di processo di metamorfosi, di corpo-set dove cinema, fotografia, moda, fumetto, pittura si incrociano.

Tutto scorre e scivola, molto godardianamente. Scivolano le immagini, i piedi che accarezzano il suolo e le pareti (che diventano pavimenti e soffitti e spalancano il cielo riflettendo il selciato). 

I battelli sull’acqua, di fiumi, di laghi. Una radura, la Senna. Un tramonto, un’alba, la notte.

(E Audrey sta a questa stagione cinematografica americana così obliqua e peculiare, come Karina sta alla contingenza, all’accadere del cinema godardiano). 

 

Sciarada (Charade, Donen 1963)

Cenerentola a Parigi (Funny Face, Donen 1957)

Une femme est une femme (1961, Godard )

Sua altezza si sposa (Royal Wedding, Donen 1951)

 

I piccoli principi sul cielo, mentre le nuvole rosa (Think Pink!) si riflettono e si increspano sulle piccole onde, che si inarcano come i corpi danzanti.

 

Il piccolo principe (The Little Prince, Donen 1974)

 

E quelle silhouette scorrono, scivolano “in vetrina” come sullo schermo.

(E Mini/Lucia Bosè a Parigi “pensa” soprattutto alla moda, forse non si vede ma quelle ‘nuances’ di grigio fotografate da Henri Alekan, sono pur sempre “rosa”) 

 

Parigi è sempre Parigi (Emmer 1951)

 

Ma se la vetrina è rosa, le luci sono rosse. E le luci rosse di Amsterdam (non) sono quelle di Parigi. Else/Marina Vlady viene fotografata da Otello Martelli, e il giorno “in un’altra città” finisce sulla spiaggia, e anche lì scivolano sul mare desiderio e gelosia. E (forse) il giorno è “a New York”, sui marciapiedi della metropoli.

 

La ragazza in vetrina (Emmer, 1961)

 

Forse non si tratta di Parigi ma di strade (e hotel lungo la “douce France” ). Donen da un lato si aggancia con un suo “movimento di mondo” particolare alla dinamica dell’incontro che sospende e destruttura il tempo e apre vuoti, innesta macchine desideranti o risucchi nei buchi tra buio e colore, operati nella tessitura del simbolico, dall’altro compie un gesto inaugurale da cui non potranno prescindere i cineasti della New Hollywood.

 

Paris nous appartient (Rivette, 1961)

Due per la strada (Two For The Road, Donen 1967)

The Truth about Charlie (Demme, 2003)

 

Ma è tutta una fantasmatica Nouvelle Vague, via Donen, che torna nella “verità” (“a propos” di Charley) declinata proprio sulla fantasmagoria parigina, sulla topografia filmica puntualmente rintracciata nelle insorgenze, nel movimento di reviviscenza, nel nachleben

Le immagini warburghianamente ritornano, escono e rientrano, rivivono. 

Torna la Ninfa a scivolare sulla soglia.

È il viaggio in trasformazione del corpo in movimento continuo di una donna (figura “ninfica”, pathosformel , immagine in fuga ). 

È Anne, attraverso i sentieri mentali dell’incontrare e abbandonare, poi ri-incontrare e lasciare di nuovo. È ancora Audrey/Johanna. Perché quella donna, quella strada, e Parigi, e New York e il cinema, mon cher Stanley, “nous appartient”, certo, sotto tutti i cieli… tanto è sempre bel tempo.

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