Bruno Roberti
Compagni segreti di film clandestini
Le storie, inserite le une nelle altre, vengono raccontate per tre corone. Un assassino misterioso ha solo nove dita. Ruiz e Ossang sono compagni segreti, passeggeri segreti. Come in un racconto di Conrad (e Kurtz si chiama in Ossang il tramatore, il mappatore verso un “cuore di tenebra” che è il film stesso) dove il giovane capitano e narratore, inserito, come un adepto-neofita, nell’equipaggio ambiguo e decrepito, avvista un uomo in mare che gli appare come un cadavere (e Magloire, nomen-omen di un “corpo glorioso” destinato a ripartirsi e trasfigurarsi, all’inizio del film di Ossang è proprio un cadavere che ritrova e rivolta sulla spiaggia, con i vestiti inzuppati e un pacco di denaro, in un paesaggio notturno e piovoso, un pelago dove il mare e la terra sono limitrofi). In Conrad quello che sembra un corpo galleggiante si muove silenzioso come chiedendo soccorso al giovane capitano, si confessa colpevole di omicidio, dunque assassino, avrà nove dita?, e sinistramente quell’uomo somiglia a se stesso, al capitano narratore. 3 couronnes e 9 doigts. Le matelot, il capitano (Diogo Doria, corpo di Manoel de Oliveira, e poi in Manoel di Ruiz conduttore e apparizione all’isola delle meraviglie, capitano di lungo corso e ancora apparizione in Le trois couronnes), un equipaggio di fantasmi, essere condotti su un vascello spettrale verso i ghiacci che fanno pensare al ruiziano Brise-Glaces, e alla grande cosa bianca dei poli nel Poe di Gordon Pym. Film clandestino costellato da doppi (Drella e il suo doppio, statuto trasmutabile del corpo erotico, come la danzatrice del viaggio in mare di Ruiz) che si inabissa e riemerge, quello di Ossang (compagno segreto di tutta una serie di film clandestini), che comincia in un sottosuolo e in una amniotica e sottomarina proiezione simile a un acquario attraversato da pesci inaudibili (il “pesce alchemico” su cui Ruiz poneva un punto interrogativo in uno dei suoi “sempre postumi”, estremo film Ballet Acquatique, 2012), che è una catabasi in cui il mare e l’inferno si incontrano e in cui quel “dito” scomparso (dalle dieci dita delle due mani, che dirigono e indicano l’invisibile) invia a una deriva dove le direzioni si intersecano come sulle mappe, sui territori che il film-nave proietta nel suo stesso ventre. È a una teoria di doppi che si destina il “corpo glorioso” di Magloire, come fosse assoldato (a prezzo del suo stesso esistere) per incarnare una allucinazione, e la nave stessa fosse il veicolo che si muove sulle “acque di proiezione”, nei territori di fuoco e di ghiaccio del cinema. Territorio, come si vede all’inizio e come si ripercuote nello straordinario e abbacinante bianconero del film, costellato di ombre, wellesiane anzitutto (quelle casse, le stive, il carico misterioso del Cargo rimandano ad Arkadin). Certo Franju (con quel cane che corre dietro l’auto e con i “negativi” pellicolari e minacciosi degli incroci destinali) e certo Murnau (la sembianza espressionista di Gerda potrebbe provenire da Der brennende Acker del 1922 dove lei, che si chiama appunto Gerda, è una sorta di figlia “del diavolo” che presiede a un “campo del demonio”, a una “terra che brucia”, e quel libro di vampiri sfogliato sottocoperta così come l’allusione alla peste portata da una nave, alludono a Nosferatu). Certo sono radiazioni, è la possibilità di far deflagrare il mondo e le sue immagini (“noi siamo i detonatori” si dice nel film) ciò che Ossang trasporta nel film. Così come è un risalire la corrente del tempo ciò in cui a poco a poco siamo, come da una corrente elettrica, trasportati mentre vediamo il film. Procedimento di risalita lungo le scoscese distese temporali che adottava Ruiz (e la presenza di Pascal Greggory che proviene dal Temps retrouvée di Ruiz lo conferma) e che qui sembra portato a un circolarità ossessiva e insieme espansiva (come se i cerchi, gli “oblò”, le iridi che ricorrono nel film fossero onde magnetiche che si allargano sulle increspature delle acque oceaniche, come nei riflessi oscuri del gorgo di un lavandino). Dunque salire sul cargo per il corpo sensibile di Magloire significa essere immesso su una sorta di banda magnetica (nel film c’è un sottile lavoro sul suono che sembra riverberare l’alterazione auditiva di uno stato amniotico), e la misteriosa gang che trasporta il plutonio ci appare come una troupe in viaggio verso l’ignoto, in una deriva oppiacea, sul dorso di una île flottant (un film analogo di Ossang del 1990 era Le trésor des îles chiennes). E man mano che il film si inoltra nei suoi detours misteriosi, si mormora sorridendo, con il compagno segreto, e con tutti i “clandestini” del cinema, i suoi occulti passeggeri, una sua, nostra, battuta significativa: “Non c’è niente da capire, ecco la chiave!”.