Taming the Garden
L’immagine dell’albero trasportato sulle acque che segna questo film e di cui giustamente tutti parlano, non è più poeticamente rilevante del trasporto stesso in mezzo a una parata di sguardi sbigottiti e colpiti al cuore. E il viaggio non è a sua volta più politicamente rilevante del fatto che l’albero venga sradicato per fini tutt’altro che nobili. Un albero è un albero, filmalo nella terra e con la comunità cui appartiene e che lo veglia. L’atto dello scavare e del portare via per sempre alla vista è lo stesso che l’atto di cavare gli occhi e, infine, di sottrarre valori a una comunità il cui essere comunità può dipendere anche solo dallo svegliarsi la mattina e vedere quell’albero al suo posto. Riconoscere e riconoscersi. Sentirsi a casa come riconoscimento di un’identità visiva e non solo giuridica. Salomé Jashi ha la sensibilità di ricreare questa rottura profonda nel cuore d’Europa nell’andamento stesso del film, che solo a poco a poco comprende e apre gli occhi nel momento in cui racconta di uno spodestamento e di un accecamento.