Commentario al Diario. Notas, recuerdos y secuencias de cosas vistas di Raúl Ruiz
Da quando esiste questa rivista non c’è nome che ricorra più di quello di Raúl Ruiz (scritto alla cilena). Se c’è un pensatore del secolo scorso (e in parte di questo) che in vita giocava e teorizzava le possibilità dell’incompiuto e del postumo, questo è Raúl Ruiz. Un nume tutelare certo, ma soprattutto un indirizzo di studio, un’attitudine che condividiamo nel leggere nel vedere e nello scrivere. Ne condividiamo soprattutto l’ossessione, l’inseguimento dell’immagine, la trasformazione della parola. L’esigenza di tornare continuamente sui propri passi per compiere ulteriori acrobazie e, come direbbe Calvino, mettendosi tutte le volte nuove braccia e nuove gambe.
Comincia da questo numero e fino al termine la lettura (più volte rimandata alla ricerca della resa migliore: che, ruizianamente, non c’è e non può esserci) dell’opera-fiume più sottovalutata degli ultimi anni1: Diario. Notas, recuerdos y secuencias de cosas vistas. La lettura, non l’analisi si è detto, il commentàrio in forma di ekphrasis (dunque anche prima rapsodica e parzialissima traduzione italiana).
Diario. Notas, recuerdos y secuencias de cosas vistas sono due ingenti volumi usciti solo in Cile nel 2017 (Ediciones Universidad Diego Portales) che raccolgono i diari di Ruiz dal 1993 al 2011, pochi giorni prima della sua scomparsa. Come spiega il filosofo cileno curatore dell’uscita Bruno Cúneo, ingaggiato da Valeria Sarmiento nel 2014, si tratta di 25 quaderni (si registra lo smarrimento di almeno altri dieci durante certuni ‘voli’ ruiziani fra taxi e aerei), 3500 pagine manoscritte da cui viene tratta questa edizione in due volumi di 1200 circa.
Via via risulterà chiaro a chi ne conosce l’opera ma anche a chi desidera riattraversarla o affrontarla per la prima volta, che questo testo monumentale non è solo un diario intimo. Il titolo del libro prova con buona riuscita a individuare alcune delle diramazioni, eppure non siamo che all’inizio di un dispositivo letterario autonomo e complesso che corre parallelo ai film che si fanno e da farsi, ai libri letti e riletti, alle conversazioni e ai piccoli eventi quotidiani, alle note paesaggistiche e a quelle culinarie in un continuo rilancio reciproco di parola immagine e visioni. Diario di vita e diario dei film. Diario delle letture e diario dei sogni. Cronaca degli amori e cronaca di un amore. Elenco dei testi e dei sottotesti. Anticipo degli scritti poi raccolti sotto il titolo Poetica del cinema. Pura sperimentazione filosofico-letteraria: tra il 2001 e il 2002 Ruiz decide di scrivere contemporaneamente il diario e un diario parallelo…
Non secondaria l’impressione che fa il tono dell’opera: un uomo lucidissimo, curioso d’ogni cosa, un osservatore ossessivo e autoironico, di un’umiltà spaventosa, che sa vedere nell’anima ma che non si permetterebbe mai di dire cosa ha visto, un portatore di verità che rifiuta l’idea di essere custode di qualche verità e che dona, dona continuamente e con generosità, che preferisce disseminarsi, aprire porte, seguire derive, pur mantenendo fermo con tenacia stupefacente il punto d’origine, che lui solo conosce, da cui un’idea, una passione si sono mossi.
Buona lettura.
I parte: 1993.
Ruiz comincia, anzi ricomincia a scrivere il 21 Novembre 1993. A quel punto ha 52 anni (e, fra corti lunghi e incompiuti, 86 film alle spalle).
La prima definizione del diario è “diario de filmación”. Perché lo scrive? “Ragioni? Nessuna” Vedere che succede ora per ora, quando il giorno “se calenda” (aggiunge: “verbo milanés”, passaggio gaddiano perfetto).
Legge Fozio (Adelphi) e The Unquiet Grave di Connolly.
Ricette culinarie, odori, colori della città (Lisbona).
“Cucinare piatti che ricordano cadaveri putrefatti”
“Non è male mescolare tecnici e artisti, soprattutto di questi tempi con artisti che vogliono essere tecnici e tecnici che aspirano alla creazione. Malos tiempos”. Non sono bei tempi per chi crede che le immagini si possono fondere, invertire… (non sono mai bei tempi, non lo erano, non lo sono).
Ruiz è a Lisbona per girare Fado mayor y menor. Incontra Chantal Akerman. Vede melodrammi portoghesi. Contemporaneamente visiona mezz’ora del montato di Viaggio clandestino (girato nello stesso anno in Italia).
Idea per un Festival di “cinema senza qualità” (bel titolo per una rubrica!).
Cibo, vino whiskey, cognac.
“Il Portogallo come un ponte e quasi corpo europeo del Cile”. Rouch/Oliveira? En un poigneé de mains amies, fleuve qui, par dessous les ponts, ouvre la porte de la mer… è di tre anni dopo. Piuttosto: il Cile per un esiliato è ovunque, anche in un cabaret lusitano.
Legge: Confesiones de un pecador justificado (J. Hogg), vorrebbe farci un film ma non trova il bandolo. Stessa cosa per The Man Who Was Thursday, il capolavoro di G. K. Chesterton. Si inventa il concetto di libri-ventilatori (versus libri-aspiratori): diffondono immagini, ma è come se non calamitassero idee. In genere serve un testo ulteriore che, associato al primo, lo renda finalmente filmabile. Con Chesterton gli viene in aiuto Poe e questo lo mette di buon umore (ma il film da Chesterton comunque non si farà). Si ricorda di aver usato lo stesso metodo con La chouette aveugle, libro-ventilatore che “non convocava immagini”, rivolgendosi al libro-aspiratore El condenado por desconfiado di Tirso de Molina.
Che fare? Spirali o alternanza di dettagli “a tutto campo” (planos generales)?
Scrive il copione di Fado nello stesso stato in cui era quando scrisse quello de Las tres coronas del marinero: uscendo dall’ospedale e con una voglia pazzesca di fare sesso dopo una cura di vitamina E. “Crepuscolo affascinante. Ha smesso di piovere. Molta trasparenza. Però avrei bisogno di nebbia. […] L’erotismo emerge dove meno te lo aspetti”.
“C’è un punto del giorno (della vita, che dura un giorno) in cui si fissa tutta l’angoscia che lo colora. Questo punto diventa punto di fuga su cui si fissano tutti gli avvenimenti del giorno (della vita)”. Il diario è colmo di cose impagabili come questa.
Mentre riflette su décor e costumi (problemi semplici: chiaro/scuro o scuro/chiaro), Paulo Branco gli dice che si sente ringiovanire perché non hanno un soldo e non sanno cosa potrà succedere domani (come ai tempi gloriosi de El territorio, dice) e aggiunge che Fado, la cui sceneggiatura è ritenuta da Canal+ “incoerente”, deve assolutamente essere un film francese. Ruiz commenta: “Flessibilità portoghese” (scritto in francese, souplesse des portugais). (Branco, per quanto ne so, vive tutt’ora alla ricerca di questa eccitazione, sull’orlo dell’abisso).
Qualcuno gli dice che il Portogallo sta vivendo un periodo anti-Oliveira, che tutti odiano il patriarca. Ruiz commenta: “Confusione generale”.
“La morte galleggia e va alla deriva”.
Sconsiglia un giornalista di approfondire certi passaggi di un’intervista con Melvil Poupaud (ormai ventènne), è inutile: “Non andrà meglio, è molto intelligente, ma non è un intellettuale”. Poi, fra parentesi, aggiunge: “Frase che si applicava a me anni fa”. Ruiz è meno rigoroso di Truffaut con Leaud e meno drammatico di Tsai Ming-liang con Lee Kang-sheng.
Attività di un giorno: lettura in parallelo di El paraíso de los creyentes di Borges e Caseres (pensando a Shaw) e di Confesiones de un pecador justificado di J. Hogg (pensando a Stevenson); riunione su costumi e décor (“Poco a poco le sequenze si organizzano attorno a un’idea visiva centrale, alla maniera di Fritz Lang”)… Poi l’implosione: ha improvvisa coscienza di questa mossa arcaica dell’incontro della mano con la carta, cui è associata la consapevolezza che scrivere in spagnolo, in castigliano, “è attività altrettanto arcaica” e da qui partono immagini della sua giovinezza a Santiago (processo strettamente proustiano: la mano e la carta…) e infine: “La vita è un insieme e le sue circolarità ti mettono, man mano che vai avanti, di fronte a biforcazioni che sembrano arbitrarie”.
Come in una torre di Babele l’hotel dove sta ospita tre diverse troupes: la sua, quella di Oliveira (probabilmente Vale Abraão) e quella di una telenovela brasiliana.
“Il sole, non una nube”. Dettagli atmosferici, cibo, una conversazione sulla tortura in Cina con Luis Felipe Rocha.
Questo va citato per intero: “Uno dei piaceri più intensi della messa in scena cinematografica è l’uso di eco visuali che si integrano in un’azione e la sospendono. Queste sospensioni (che per un film narrativo non sono più che errori nel ritmo) provocano dei momenti epifanici, connettono il mondo sequenziale del film con altri film-ombra in agguato negli interstizi, nelle fratture, di ogni cambio di sequenza. Si fanno vedere, durano per sempre, diventano un miracolo e poi spariscono. Non c’è istante senza miracolo (Calderón)”.
Telefonata a Valeria Sarmiento (“Chiamo Valeria”), cineasta montatrice e compagna di vita. La trova triste perché a Parigi piove. Però Valeria gli dice che tutti sono entusiasti del film girato in Sicilia Vite di santi e peccatori o Il Viaggio clandestino e che tutti consigliano di tagliare una scena che, dice Ruiz, è stata già accorciata. Commento finale: “Voici un affaire qui marche”.
Legge Braudel. “Ma ora al Gambrinus! A mangiare un pezzo di formaggio senese con un buon vino”.
Ricorda di aver scritto sui Cahiers (è incerto tra il 1975 e il 1976, in realtà l’articolo è del 1978 e si intitola Les Relations d’objects au cinéma) una teoria degli oggetti che Pascal Kané definì “non male, però inapplicabile”. Come diceva Borges delle teorie di Croce, ricorda Ruiz. Non è questo il bello delle teorie? “Vorrei riprendere un vecchio progetto: prendere il testo sugli oggetti nel film e svilupparlo. Punto di partenza di una Poetica del Cinema o Poetica del Visibile (un Principia Iconica) in ci gli assiomi sono la regola del gioco.
Legge dei poemi quechuas tradotti da J. M. Arguedas e se lo ricorda nella sua casa di Santiago che esclama di fronte a un manzo in casseruola: “È una cattedrale!”. Questa giornata, il 27 Novembre, non finisce mai. Una riunione con Paulo Branco. La lettura di un articolo di Leslie Kaplan su un numero di Trafic. Gli torna in mente l’ultima volta che ha visto Serge Daney. Va a cena con Joaquim Pinto in un ristornate popolare. A cena lunghe divagazioni su Paracelso, sulla medicina cinese, sulle telenovele, sulla pace dei sensi (scritto in italiano) come figura della felicità, sulla “guerra che si installa in Europa”. Finale di serata leggendo il Breviario de estética di Croce e pensando a Il giudice e lo storico di Carlo Ginzburg e ritornando così a Paracelso.
Anche questo passo per intero: “Una sceneggiatura, come uno spartito, è una descrizione degli eventi che avranno luogo in vari luoghi. Questi posti devono essere trovati. Una volta scelti, sono abitati da esseri umani, a loro volta abitati da eventi. Per connettersi con i luoghi, per rianimarli, gli attori si affidano agli spostamenti e alla manipolazione degli oggetti. Ma ogni oggetto ha un potenziale di manipolazione limitato, anche se non si esaurisce nelle manipolazioni suggerite dalla sceneggiatura. Un bicchiere di vino viene riempito dall’attore e svuotato molte volte. Uno specchio riflette, ma può anche brillare, riflettere il sole”
E ancora: “Piove finalmente. Ora ho lo spettro completo della luce di Lisbona. Il sole d’inverno è perfetto per la Kodak”
Tra una riunione e l’altra con Branco, comincia a scrivere una sceneggiatura basata su un marito che sparisce e una storia di vendetta (un abbozzo di Trois vies et une seule mort).
Va a un ricevimento in onore di Luis Sepulveda e chiunque incontri gli dice di aver visto tutti i suoi film. Commento di Ruiz: “Neppure io li ho visti tutti. Per esempio non ho mai visto ¡Qué hacer! (che oggi si può incredibilmente vedere per intero su youtube).
“Valeria mi telefona. Ci manchiamo l’un l’altro. È così, ci manchiamo l’un l’altro”
Legge The Hill of Dreams di Arthur Machen (nella versione spagnola).
“In ogni caso, la tirannia della sceneggiatura nell’industria cinematografica non è che un sintomo del dominio degli avvocati nelle arti dello spettacolo”.
Richiama Valeria, continuano a mancarsi. Per la prima volta fa un sogno in forma di spot pubblicitario (racconto del sogno: un padre, un figlio e il Banco de Portugal.. lentamente gli inserti surrealisti o piccole divagazioni caustico-apologetiche prendono il sopravvento).
Per rinfrescare il cervello si mette a studiare la lingua pascuense (dall’isola di Rapa Nui) e scopre che kuhana riva riva si può tradurre fantasma buena persona.
“In breve, quasi. Amo Valeria. Amo amarla. In breve, quasi. Si, la amo”
3 dicembre. Impossibile riportare qui per intero le due pagine, fondamentali, che seguono. Ruiz parte da un paesaggio nebbioso di primo mattino e si inoltra in considerazioni sul punto di vista e sul tempo. Poi sulla pubblicità, che secondo lui sta riportando consapevolezza nel cinema. Tutto dipende dal rapporto tra oggetti e luoghi (ancora il suo vecchio saggio). Cita a proposito Antonioni, Wittgenstein, Eco. Si chiede come mai nel cinema, a differenza del passato (cita Abraham Abulafia, Helíodoro, Dante) non sia stata ancora inventata una lettura cabalistica delle immagini. Si certo, c’è Jean-Louis Schefer su Piero della Francesca… Noi oggi possiamo dire che c’è Ruiz con Combat d’amour en songe.
Legge un altro Machen, The Three Impostors. Comprende quanto siano importanti per far funzionare il sistema narrativo le ampie descrizioni dei personaggi: “Come se esistesse una vera complicità tra l’occulto del paesaggio e l’occulto degli atti inconfessabili”
Fado mayor y menor è la sua produzione più grande dai tempi di Tres Tristes Tigres. Quasi tutto quello di cui ha bisogno, “salvo un paio di filtri e una lente” è disponibile sul posto. Però alla fine Oliveira si rifiuta di prestargli il 12mm e Ruiz è sicuro che non pensa di usarlo. “Anche io sarò così se invecchierò (sono già un po’ così)”
Non si ferma mai. Prende appunti per tre pezzi corti di teatro che ha intenzione di scrivere simultaneamente come ha fatto con la sceneggiatura scritta per Valeria (seguendo uno schema narrativo) e con la propria (seguendo Dostoevskij). I titoli sono: Las manzanas están hechas para ser peladas (épluchées), Banderas al viento, Night in Tunisia.
Invece si ferma su quello che sta scrivendo. 17 dicembre: “Rilettura dell’inizio del diario. Le regole del genere cominciano ad emergere. Scrivere durante il giorno, costringendo le ore a diminuire, trasforma il diario in un horóscopio o horoscopio”
Eppure, il giorno dopo: “Ho bisogno della mia ragazza” (Necesito a mi novia).
Le idee lo assalgono e lo sorprendono. Succede nel momento stesso che sul set dice “azione”. Qui e là vede emergere nel film elementi autobiografici. Ma non gli basta, mentre ne fa uno vorrebbe farne molti altri. “L’intensità e l’allegria di inventare sono tali che tendono a debordare il film”. Così ha pronti cinque progetti di film per Paulo Branco: “Nuages à Belleville (in 16mm, a Parigi, sceneggiatura scritta), Réquiem (dal libro di Tabucchi), Villa Medici, Las manos gritan su desgracia (sceneggiatura scritta – questo sembra un titolo di Jesus Franco), Los cuatro jinetes del Apocalipsis” Questo scritto sul diario alle 9.30. Tre ore dopo incontra Branco che si presenta vestito per allenarsi in vista di una corsa. Si siedono a un caffè e comincia a esporgli i progetti. Branco sceglie: Nuages à Belleville a settembre (intende del 1994), Las manos gritan su desgracia e Los cuatro jinetes del Apocalipsis nel 1995 e Réquiem alla fine dello stesso anno. Rimasto solo Ruiz legge sul giornale una nota sull’ultimo film di Resnais, Smoking/No smoking: “Resnais non è uno di quei registi megalomani che vogliono controllare tutto (sceneggiatura, fotografia ecc.)” ed esclama: “Tiens! Sembra che parlino di me”.
Impazza la polemica tra industria e film d’autore, in particolare tra registi europei e occupazione del mercato dei film USA (sembra passata una vita). Ruiz rilascia un’intervista sul tema a una televisione. “Mi chiedono: “Non le piacerebbe che i suoi film fossero visti negli USA?” Risposta: “Quello è l’unico paese dove si vedono” Domanda: “Però in Europa i film sono considerati opere d’arte” Risposta: “Però gli USA sono l’unico posto dove ci sarà un centro consacrato ai miei film”. Tiens, encore un gaffe!
La politica secondo Ruiz segue strategie virali. “Un personaggio di Golden Boat dice: “Dio è un virus”. Comincio a credergli”
Cena da solo leggendo Braudel e riflettendo sulla rivoluzione industriale, sulla “realtà del simbolo (il denaro)” e sul “simbolo della realtà (la rivoluzione)”. Rientrando a casa si sofferma a guardare ragazzini vocianti che giocano per le strade e gli sembra di stare in Cile. Chiama Valeria che gli risponde dolce e brusca troncando all’improvviso la conversazione: “Buenas noches”.
Visiona rushes. Trova le immagini un po’ crude, aveva deciso insieme al direttore della fotografia di ottenere questo effetto ma ora gli sembrano troppo nitide. Melvil Poupaud gli dice che a lui ricordano lo stile di Golden Boat, Ruiz è d’accordo. Lo chiama stile spettinato.
24 Dicembre. Passa la settimana a girare raccordi e effetti speciali. L’idea è che ogni sequenza venga interrotta da vere e proprio rêveries che tuttavia non devono servire solo a dare tono, atmosfera ma funzionare “come chiavi sintetiche, emblemi, enigmi integrati nel corso narrativo”.
25 Dicembre. Parla con Bulle Ogier, che ha un piccolo ruolo ed è preoccupata di venire tagliata al montaggio. Ruiz la rassicura: “Sono troppo stupido (con) per fare questo genere di scherzi”.
Ascolta la sonata per violoncello e violino di Kodály. Sta cercando “climi musicali” che suscitino immagini e viceversa. Si stupisce dell’effetto predatorio della musica nei confronti dell’immagine, “la sua capacità di unificare sequenze di movimenti che divergono all’interno dell’immagine”.
Traduciamo: “Cronologie: Kodály, discepolo di Domeny, discepolo di Brahms, discepolo di Schumann. Arrau, discepolo di Krause, discepolo di Liszt, discepolo di Czerny, discepolo di Beethoven. Il cinema, in cambio, tende a partire da zero. In ogni pellicola è contenuta e ripetuta la storia del cinema. Però si può definire storia una serie di eventi che non fanno che ricominciare?”
Conversazione con Poupaud su come visualizzare le mani di Rimbaud che Mallarmé definiva mani da lavandaia. Ruiz: grandi mani rosse. Poupaud: sporche e finissime. Da qui una deriva: com’erano le ginocchia di Mozart? Le orecchie di Beethoven?
27 Dicembre. Riflette sulle visioni di Cristo, o meglio su quelle che chiama emozioni mistiche. E, fra parentesi, la butta lì: “Lino Brocka mi raccontò della sua conversione al cristianesimo dopo aver visto Bathing Beauty: Esther Williams che salta dal trampolino, le braccia aperte e sorridente, provocando l’epifania della divinità”.
La sera mescola ombre e il crepuscolo prende il colore del whiskey. Fine serata ascoltando John Coltrane (The Night Has a Thousands Eyes).
Poupaud gli racconta che Luc Moullet lo considera il suo regista preferito, che ha visto La Chouette aveugle dieci volte e che tutte le volte incontra cose nuove” Ruiz commenta ironico e tenero: “Io non l’ho visto più di cinque volte, però mi piace. Comunque alla fine queste cose ti sollevano il morale. Non ci avevo mai pensato”.
30 Dicembre. Come mantenere un equilibrio tra le esigenze di produzione, la sceneggiatura e il continuo presentarsi di idee nuove. “Il problema è sempre lo stesso: come prevedere con un po’ di anticipo da dove verranno le idee nuove. […] Alla fine si tratta di lasciare spazi creativi aperti a tutti, attori, scenografo, direttore della fotografia, etc., e all’ultimo momento legarli in situazioni che siano davvero nuove”.
“Bulle Ogier è a disagio, è convinta di fare troppi gesti. Io le dico: il film è eccessivo, cioè, accumulando eccessi cerca di creare un’armonia mostruosa”.
(continua)
1 In Italia si segnala solo il saggio di Eduardo A. Russo, L’uso del tempo. Riesaminando i Diari di Raúl Ruiz, “Uzak” n. 36, primavera 2020.
Inoltre citiamo:
Miranda, C. (2018). Diario de Raúl Ruiz, laFuga, 21. [Fecha de consulta: 2021-07-25] Disponible en: http://2016.lafuga.cl/diario-de-raul-ruiz/889.
https://afuerablog.com/2021/05/25/raul-ruiz-apuntes-sobre-el-diario-de-un-artista-lector/