"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

LOST HIGHWAYS (8) - Oh, Canada (Paul Schrader)

Sunday, 23 March 2025 11:25

Giulia Mai

Di certo non la verità

 

“I like to remember things my own way. How I remembered them, not necessarily the way they happened” dice Fred Madison (Bill Pullman) in Lost Highway di David Lynch. E questa frase potrebbe essere la definizione più precisa della lunga intervista/confessione che Leonard Fife (Richard Gere) offre all’amata moglie come ultimo dono nel magnifico Oh, Canada di Paul Schrader.

Convinto dal suo mediocre ex allievo e dalla compagna di lui, che vorrebbero realizzare un documentario sul loro maestro, utilizzando la tecnica di ripresa da lui stesso affinata (macchina fissa sul volto dell’intervistato che dovrà rispondere a una serie di domande), per celebrarne il talento cinematografico e l’impegno politico, Fife accetta riluttante di partecipare al progetto solo per poter finalmente “dire la verità” a Emma (Uma Thurman), la fedele compagna degli ultimi decenni. Leonard non risponderà a nessuna delle domande, non lascerà all’allievo nemmeno il tempo di fiatare, iniziando a raccontare la sua vita “a modo suo”, intrecciando ricordi, svelando segreti, riflettendo sul passato.

“Fotografare la casa, ma allo stesso tempo fotografare lo scorrere del tempo, fotografare la casa frontalmente ma indurre un elemento di inquietudine” annotava Guido Guidi ragionando sul lavoro di Walker Evans. Il volto di Fife, ormai consumato da una malattia terminale, non solo si sovrappone a quello di lui ragazzo (Jacob Elordi), in una specie di cortocircuito in cui passato e presente si confondono, ma custodisce un mistero irrisolvibile. Il racconto di Leonard, che torna più volte sugli stessi avvenimenti (la visita per essere arruolato in Vietnam, le donne che ha incontrato e lasciato, le fughe), mescola situazioni realmente accadute (quali?) a invenzioni, fantasie, menzogne, desideri e immagini trasognate, provocate dai potenti antidolorifici che ne alleviano il dolore. Perciò Emma e Gloria (la moglie di un amico a cui fa visita e con cui ha un fugace rapporto) hanno le stesse sembianze, così come Amy, la prima moglie lasciata improvvisamente da Leonard, e Sloan, assistente del suo ex allievo.

Oh, Canada (Paul Schrader)Se negli ultimi film di Schrader eravamo abituati a personaggi che confessavano il loro bisogno di espiazione a un diario, trovando nel perdono della donna amata la salvezza e la possibilità di redenzione, la libertà per Fife arriva solo attraverso la morte (come già accadeva a Wade Whitehouse – Nick Nolte - protagonista di Affliction, tratto dal romanzo omonimo di Russell Banks). E è lo stesso Russell Banks che in Foregone introduce come voce narrante quella del figlio di Leonard, che del padre non conosce nulla, abbandonato anch’egli assieme alla madre Alicia, seconda moglie di Fife, quando era solo un bambino. Un narratore che dovrebbe essere onnisciente, ma che oggettivamente non può esserlo, dal momento che nemmeno colui attraverso il quale ripercorriamo le vicissitudini di un’esistenza è nelle condizioni di “dire la verità”. “I made a career out of getting people to tell me the truth. Now it’s my turn”. Che cos’è dunque Oh, Canada? È sicuramente il libro di uno scrittore (Foregone appunto, che a sua volta sembra la versione compiuta del racconto Voyager di Banks) e il film di un regista che riflettono in maniera spietata sulla loro vita, sentendo la fine non così lontana (Russell Banks è venuto a mancare un paio di anni fa e Paul Schrader ha affrontato gravi problemi di salute durante la pandemia). Ma né Banks né Schrader sono Leonard Fife, poiché, in particolare il secondo, non condivide nessun dettaglio autobiografico col protagonista di Oh, Canada, a parte il fatto di essere un cineasta di successo. Fife è (o si dipinge come) un vigliacco che ha disertato ogni responsabilità nella sua esistenza, costruendosi la fama di regista impegnato, rifugiatosi in Canada per evitare di partecipare alla guerra in Vietnam (quando in realtà era stato riformato, non avendo quindi alcun bisogno di fuggire). L’attraversamento della frontiera, che gli permette di svincolarsi dalle incombenze di padre e marito (come già aveva fatto in passato, d’altronde), evitando anche la lauta offerta del diffidente suocero a ricoprire una posizione di rilievo nell’azienda di famiglia, segna un punto di non ritorno e l’approdo a una condizione di libertà. Ma quella libertà creduta assoluta, viene a chiedere il conto nel momento in cui Fife si ritrova inchiodato al letto di morte, prendendo infine coscienza delle proprie miserie (reali o infondate che siano).

È impossibile non intuire quanto questo film sia personale e intimo per un autore come Schrader e, verrebbe da dire, per chi tenti di fare i conti con sé stesso. Il senso di colpa atavico del “calvinista” Schrader non può che essere condiviso da chiunque rifletta sul proprio passato, che non è mai reale, ma vero, poiché svela un sentimento profondo della propria persona. Alla domanda se la scena della visita per l’arruolamento, in cui Leonard Fife si finge omosessuale per essere riformato, fosse un omaggio a Big Wednesday (Un mercoledì da leoni) di John Milius, Schrader risponde di no, di non aver pensato a quel film, dal momento che molti dei suoi conoscenti usarono stratagemmi simili per evitare la leva. Eppure la sequenza della visita nel film di Milius è pressoché identica. Schrader l’ha scordata o sta mentendo? No, molto probabilmente l’ha interiorizzata e rielaborata “a modo suo”.

Ci sono due scene straordinarie e speculari in Oh, Canada. La prima è quella della tavola calda dove Fife si era recato da giovane, durante il viaggio per andare a comprare (forse) una casa nel Vermont e in cui torna con la memoria in età matura. In quest’ultima occasione coloro i quali hanno abitato la sua vita entrano nel locale e si siedono al bancone accanto a lui. Nel mentre, il protagonista ruota lo sgabello, voltando le spalle a tutti loro. La seconda è quando Leonard, arrivato alla frontiera col Canada, lascia l’automobile a bordo strada, scruta l’orizzonte, alza le braccia in alto, per tirare un respiro profondo, di sollievo, come il corridore felice di aver raggiunto la meta, e si addentra nella radura. Quell’istante coincide anche con l’ultimo sospiro dell’anziano protagonista. La piccola macchina da presa, posizionata di nascosto nella camera da letto di Fife morente da Sloan, non riuscirà a cogliere ciò che il protagonista sussurra, quello che immagina o ricorda. L’oggetto così invadente e minuscolo non “documenta” nulla, di certo non la verità. Quella rimarrà negli occhi e nella mente di Leonard, che sente la grazia intervenire quando sta abbandonando il suo corpo, forse finalmente liberato.

 

 

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