Ci puoi raccontare il lavoro che ha portato a questa versione di El Realismo socialista? Noi sapevamo che c’erano varie versioni con durate anche molto diverse…
Raul iniziò questo film nell’estate del 1973 (gennaio-febbraio) e poi dovette accantonarlo per iniziare La palomita Blanca, un film che gli era stato chiesto di realizzare.
La palomita Blanca era un film finanziato con soldi di persone vicine al partito socialista.
Gli dissero: “Smetti di fare film che non fanno soldi”, abbiamo bisogno di te per fare questo film. Abbiamo bisogno di soldi per il partito”.
La palomita blanca è un film tratto dal romanzo di Enrique Lafourcade che ha venduto un milione di copie. Anche questo film rimase incompiuto a causa del colpo di Stato. Fu terminato e presentato 17 anni dopo.
Abbiamo recuperato il negativo, la copia di lavorazione e le tracce sonore di El Realismo socialista grazie al servizio culturale dell’Ambasciata tedesca, dove li ho depositati prima di lasciare il Cile.
Negli anni ‘80 ci fu una mostra dei film di Raúl al BFI, Raúl volle recuperare il materiale e mostrare una prima impalcatura che montammo al BFI e che fu depositata lì. Quel “bout à bout” (già una copia) andò al festival di Rotterdam e da lì alla Cinématheque Belge. Loro hanno conservato la copia.
Quando abbiamo voluto riaverlo abbiamo dovuto chiedere ai belgi di farci una copia, mentre il resto del materiale, le altre copie, erano alla Duke University, dove Raúl insegnava.
Non so se posso rispondere alla domanda. C’era solo quella copia del BFI che ha viaggiato.
E ora quella che ho messo insieme aggiungendo ciò che era alla Duke e selezionando ciò che era in condizioni migliori.
Facciamo un passo indietro a quegli anni. Come è nata l’idea di fare il film proprio in un anno cruciale come il 1973?
Raúl ha sempre trovato interessante filmare il processo di Unidad Popular e le sue contraddizioni.
Ci puoi dire qualcosa sul legame col testo di Cesare Pavese Ciau Masino cui il film è ispirato? Il testo di Pavese è incentrato su due personaggi con lo stesso nome (un intellettuale e un operaio), e a noi fa venire in mente che nei film di Raúl c’è sempre questa figura ricorrente di due o più film dentro lo stesso film.
Non posso rispondere a questa domanda. Non so quale fosse il rapporto con Pavese, uno scrittore che in ogni caso Raúl ammirava.
La Telenovela errante, El Tango del viudo, El Realismo socialista. Che un cineasta come Ruiz sia postumo non ci sorprende, però volevamo sapere in che modo questo si lega all’idea di incompiuto che è sempre presente nell’opera di Ruiz. Ricordiamo che una delle ultime volte che ci siamo visti eravamo a Procida al Vento del Cinema di enrico ghezzi e Raúl partecipò a un incontro pubblico proprio sul tema dell’incompiuto cinema.
Per Raúl la cosa più importante era girare. Quando finiva un film era già in attesa di passare a un altro.
Per questo mi chiedeva di occuparmi del montaggio, perché mi diceva cosa voleva la mattina a colazione e alla fine della giornata veniva a vedere se avevo fatto quello che voleva.
Tra parentesi, Raul era figlio unico, quindi essere circondato da “compagni di gioco” era importante.
Il titolo completo del film era Il realismo socialista, come una delle belle arti, la seconda parte del titolo, se non andiamo errati, era stata suggerita dal poeta Waldo Rojas, che è presente nel film ed era un vostro grande amico. Questo titolo ci sembra contenere da un lato il sottile humour nero cileno, dall’altro forse un certo sarcasmo nei confronti del realismo socialista sovietico, ma anche il coraggio di mantenere un atteggiamento critico anche verso la nuova e sicuramente unica possibilità politica data da Allende. Insomma, quando avete fatto il film c’era anche un fondo di auto-critica?
Raúl è sempre stato critico e, come molti, sapeva che il colpo di Stato non si sarebbe fatto attendere.
Parlando ancora di auto-critica, a noi sembra che quando poi con Ruiz avete girato Diálogos de exiliados, fosse un modo per riprendere e finire El Realismo socialista. Entrambi i film sono dei film militanti nel senso che intendeva Ruiz quando diceva che il film era una “specie di previsione di tutti gli errori che avremmo potuto commettere e che bisognava evitare”. E poi c’è anche la sua famosa battuta: “J’ai voulu le faire pour, et il est sorti contre”… La scena molto politica e molto surreale ne El Realismo socialista del militante che mentre discute le sue teorie viene lentamente lasciato solo dagli altri compagni che si spostano in un’altra stanza, viene rifatta identica in Diálogos de exiliados… Ci puoi parlare del legame tra i due film? (Non è un caso, inoltre, che qui in El realismo socialista tutti se ne vadano, nel momento in cui si parla di denaro e in cui si propone un salario uguale per tutti, operai e piccolo-borghesi; insomma, niente viene detto esplicitamente, ma in questa sequenza c’è un forte accento posto sulla differenza di classe e sulle contraddizioni persistenti nella borghesia…).
Si avete ragione, i film sono collegati.
Raúl non poteva fare a meno di osservare le vicissitudini del “realismo socialista”.
Quando è stato proiettato Diálogos de exiliados, siamo stati emarginati da tutte le istituzioni dell’esilio cileno.
Io dico sempre che “ogni nuvola ha un lato positivo”. Questo ci ha fatto integrare più rapidamente nel mondo francese. Ora, con il passare del tempo, i cileni trovano il film molto interessante.
In un’intervista a “Rouge”, del 2004, Ruiz diceva che non esisteva una sceneggiatura del film, ma, piuttosto, che le scene erano state tratteggiate un po’ come degli schizzi, creando delle situazioni che apparivano come degli “ideogrammi in azione”. Si riferiva al lavoro di Pina Bausch come fonte di ispirazione e aggiungeva che era come se le sequenze venissero assemblate un po’ come dei collage. Ci puoi dire qualcosa su questo metodo di lavoro?
So che non scriveva i dialoghi, gli operai non avevano il tempo di memorizzarli.
Raúl dava loro il tema e loro improvvisavano.
Lo stesso vale per gli intellettuali.
Va detto che né uno né l’altro avevano una conoscenza della macchina da presa, in Cile si filmava pochissimo.
Il film lascia molto spazio a incontri collettivi, conversazioni, discussioni politiche, che fanno pensare a situazioni analoghe presenti nei film di quegli anni di Godard, Bellocchio, ecc…Si sente cioè un tentativo diffuso e urgente di filmare la parola politica, che fa anche pensare al modo con cui Roberto Rossellini l’aveva fatta venir fuori in primo piano quando aveva filmato Allende nel 1971. Questo peso dato alla parola era un dono speciale di quel tempo o questa dimensione così specificamente discorsiva era qualcosa che Ruiz aveva in mente anche da prima?
All’epoca dell’Unidad Popular si discuteva di tutto. Si stava creando qualcosa di nuovo, ogni gruppo aveva la sua idea di come avrebbe dovuto svolgersi il processo. Nel frattempo i militari si preparavano.
Assemblee ogni giorno, manifestazioni, discussioni nelle fabbriche, ecc. ecc.
Nel film ci sono dei momenti molto belli, di pura astrazione, appunto, quasi coreografati, come ad esempio quando gli operai della fabbrica occupata si affrontano con dei bastoni di legno, come in una sessione di aikido. Sembrano quasi degli inserti musical, in un film in cui la parola ha un peso così forte. Pensi che sia proprio questa sorta di infinita macchina del logos che porta all’astrazione?
Non lo so. Quello che posso dire è che dimostra innocenza.
Come hai lavorato nelle ricerche d’archivio? Ci sono alcuni documenti incredibili, come per esempio la manifestazione di signore borghesi, armate di pentole, una di loro porta in braccio una statua di Gesù, ci sono diversi cartelli con su scritto “vogliamo sicurezza, ordine, progresso”…
Jorge Müller, il direttore della fotografia del film, usciva da solo e girava gli elementi documentaristici del film che abbiamo integrato perché ci sembrava importante, anche perché Jorge era un compagno che è stato fatto prigioniero ed è scomparso insieme alla sua compagna.
Poco prima della fine c’è una lunga sequenza composta di una serie di suicidi. Questa presenza della morte, anzi la sua serialità inarrestabile, è il filo nero che entra in ogni film di Ruiz, e circola poi tra le immagini liberamente, eppure questo gioco della morte si realizza a ridosso di una tragedia e sembra sempre scartare il tragico per scegliere invece il comico, la persistenza del gioco. È il gruppo dei poeti che sceglie di suicidarsi, lo fanno tutti con sistemi diversi…si tratta di nuovo di auto-critica? Che ne pensi?
Credo che Raúl abbia sempre avuto una capacità premonitrice.
Ci puoi dire qualcosa di più rispetto alle sequenze finali, nel film restaurato, che sono rossastre (è stato usato un filtro?) e si intervallano ai titoli di coda; sono sequenze di manifestazioni per le strade di Santiago, piene di giovani, di ragazzi festanti, si sente un popolo unito in un sogno collettivo, sono davvero strazianti…
Erano le immagini di Jorge Müller e abbiamo pensato che fosse importante utilizzarle.
Anche la musica in questa nuova versione del film gioca un ruolo importante, è come se facesse parte del ritmo, del montaggio stesso, una forma “ironica” di valzer composta da Jorge Arriagada. Come hai lavorato sulla colonna sonora?
Gli ho chiesto di suonare come un orfeón (corale allegro-entusiasta) che a poco a poco si andava disarmando.
All’inizio del film, c’è un bellissimo camera-car che accerchia un monumento circondato da un prato intorno al quale si trovano gruppi di persone, con diverse macchine da presa, ma potrebbero forse essere anche delle macchine fotografiche, sembra un set, di che cosa si tratta?
È un monumento in Plaza Baquedano, dove la gente andava a scattare foto. L'abbiamo preso da un documentario che abbiamo realizzato con Raúl sui fotografi di piazza.
Era un cenno al presente, perché quel monumento e quella piazza sono diventati il centro dell'ultimo movimento popolare dell'epoca di Piñeira.
Inoltre, è proprio lì in quel luogo che l’intellettuale poeta trova un passaggio in macchina dove si dice a un certo punto una frase abbastanza sinistra e profetica sulla necessità di uccidere il Presidente… Per noi ci sono molti momenti che danno al film un’aria di generale inquietudine. Scusaci se insistiamo, è qualcosa che già all’epoca era abbastanza chiara per voi, la profezia di una tragedia?
Insisto nel dire che Raúl aveva questa capacità o facoltà premonitrice, ma credo che si tratti solo di lucidità.
Un altro fatto: l’attore che fa l’operaio nel film decise anni dopo il colpo di Stato di creare il partito socialista pro-Pinochet (!) Quando fu che Raúl se ne rese conto?
Nel film ci sono dei vuoti improvvisi, scarti o irruzioni, sincopi. Questa discontinuità (molto produttiva a livello di senso) faceva già parte del tessuto originale del film di quattro ore, o risulta dalla ricostruzione e riduzione del materiale recuperato negli archivi?
Penso entrambe le cose.
E di nuovo a proposito della durata, tu e Raúl siete mai riusciti a proiettarlo nella sua lunghezza o nelle varie lunghezze originali? O comunque a vederlo almeno voi una volta interamente?
No, quella che Raúl vide è solo la versione BFI.
Nel film scorre in sottotraccia un umorismo molto sottile, già in gioco nel titolo, tuttavia si ha anche la sensazione di una volontà di comprendere qualcosa che si stava ancora attuando, qualcosa che era storicamente ancora in corso d’opera, come per esempio la gestione delle fabbriche dopo averle occupate, insomma c’è un desiderio di filmare la parola operaia, che sembra “autentico”, cioè non ironico soltanto…
La parte più autentica del film è costituita dagli operai, gli unici a conoscere davvero la posta in gioco.
Infine, la parte sull’intellettuale/poeta, il cui sogno segreto di una rivoluzione attuata è che tutto il paese arrivi a comporre poesie ci ha fatto pensare a Nadje dijo nada, un altro film profetico. Pensiamo proprio che Nadje dijo nada, El Realismo socialista e Diálogo de exiliados sia una triade indissolubile!
È evidente che ciò che attraversa questi tre film è l’osservazione della cilenità. Con la sua ironia e lucidità.
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¿Puede hablarnos del trabajo que dio lugar a esta versión de El Realismo socialista? Sabíamos que había varias versiones con duraciones también muy diferentes...
Raúl comenzó este film el verano 1973 (Enero- Febrero) después tuvo que dejarlo de lado para comenzar La palomita Blanca , un film que le pidieron que realizara.
La palomita Blanca era un film financiado con dineros de personas próximas al partido socialista.
Le decían “basta de hacer films que no dan dinero” necesitamos que hagas este film. Necesitamos dinero para el partido”.
La palomita blanca es un film basado en la novela de Enrique Lafourcade que vendió un millon de ejemplares. Este film quedó también sin terminar porque vino el Golpe. Y fue terminado y presentado 17 años después.
Recuperamos el negativo, copia de trabajo y bandas de sonido del RS gracias al servicio cultural de la Embajada Alemana, donde yo lo deposité antes de salir de Chile.
Años 80 hubo una muestra de films de Raúl en el BFI , Raúl quiso recuperar el material y mostrar un primer armado que montamos en el mismo BFI y quedó depositado ahí. Ese “bout à bout” (ya copia) , viajo al festival de Rotterdam y de ahí pasó a la Cinématheque Belge. Ellos se quedaron con la copia.
Cuando quisimos recuperarlo tuvimos que pedir a los belgas que nos hicieran una copia, además el resto del material, los otros copiones, estaban en la universidad de Duke, donde Raúl hizo clases .
Uf no sé si te respondo la pregunta
Hubo solo esa copia del BFI que viajó
Y ahora la que yo armé agregando lo que estaba en Duke y seleccionando lo que estaba en mejor estado.
Retrocedamos un poco hasta aquellos años. ¿Cómo surgió la idea de hacer la película en un año crucial como 1973?
Raúl siempre le pareció interesante filmar el proceso de la UP y sus contradicciones.
¿Puede decirnos algo sobre el vínculo con el texto de Cesare Pavese Ciau Masino, en el que se basa la película? El texto de Pavese se centra en dos personajes con el mismo nombre (un intelectual y un obrero), y nos recuerda que en las películas de Raúl siempre existe esta figura recurrente de dos o más dentro de la misma película.
Esta pregunta no te la puedo responder. No sé cuál es la relacion con Pavese, un escritor que Raúl admiraba
La telenovela errante, El tango del viudo, El realismo socialista. Que un cineasta como Ruiz sea póstumo no nos sorprende, pero queríamos saber cómo se relaciona esto con la idea de lo inacabado que siempre está presente en la obra de Ruiz. Recordamos que una de las últimas veces que nos vimos fue en Procida, en el “Vento del Cinema” de enrico ghezzi, y Raúl participó en un encuentro público precisamente sobre el tema del cine inacabado (“incompiuto cinema”).
Para Raúl lo más importante era filmar. Cuando terminaba un film ya estaba esperando pasar a otro.
Por eso me pedía a mi que le hiciera el montaje, porque me decía lo que quería en la mañana en el desayuno y pasaba al final del día para ver si yo había hecho lo que él quería.
Entreparentesis te diré que Raúl era hijo único, por lo tanto estar rodeado de “compañeros de juego” era importante
El título completo de la película era Realismo socialista, como una de las bellas artes, la segunda parte del título, si no nos equivocamos, fue sugerida por el poeta Waldo Rojas, que está presente en la película y era un gran amigo suyo. Este título nos parece que contiene, por una parte, el sutil humor negro chileno, por otra quizás un cierto sarcasmo hacia el realismo socialista soviético, pero también el valor de mantener una actitud crítica incluso ante la nueva y ciertamente única posibilidad política dada por Allende. Entonces, cuando hizo la película, ¿había también un trasfondo de autocrítica?
Raúl siempre fue crítico y él como muchos sabían que el el golpe de estado no iba a tardar.
Hablando de nuevo de autocrítica, nos parece que cuando luego hiciste Diálogos de exiliados con Ruiz, era una forma de filmar y terminar El Realismo socialista. Ambas películas son películas militantes en el sentido en que Ruiz se refería cuando dijo que la película era una «especie de predicción de todos los errores que podríamos haber cometido y que teníamos que evitar». Y también está su famosa frase: «J'ai voulu le faire pour, et il est sorti contre»... La escena muy política y muy surrealista de El Realismo socialista del militante que, mientras discute sus teorías, es lentamente dejado solo por los otros compañeros que se trasladan a otra habitación, es rehecha de forma idéntica en Diálogos de exiliados... ¿Puede hablarnos del vínculo entre las dos películas? (No es casualidad, por otra parte, que aquí, en El realismo socialista, todo el mundo se vaya, en el momento en que se menciona el dinero y se propone un salario igual para todos, obreros y pequeños burgueses; en fin, no se dice nada explícitamente, pero en esta secuencia hay un fuerte énfasis en la diferencia de clases y en las contradicciones que persisten en la burguesía...).
Si tienes razón los films están ligados
Raúl no podía dejar de observar las peripecias del “realismo socialista”.
Cuando se mostró Diálogos de Exiliados fuimos marginados de todas las instituciones del exilio chileno
Lo cual siempre digo “no hay mal que por bien no venga”. Eso hizo que nos integraramos más rápido en el mundo francés. Ahora con el paso del tiempo los chilenos encuentran muy interesante el film.
En una entrevista concedida a “Rouge” en 2004, Ruiz declaró que no había guión para la película, sino que las escenas estaban esbozadas un poco como bocetos, creando situaciones que parecían «ideogramas en acción». Se refirió a la obra de Pina Bausch como fuente de inspiración y añadió que era como si las secuencias estuvieran montadas un poco a modo de collage. ¿Puede decirnos algo sobre este método de trabajo?
Yo sé que no escribió diálogos, los obreros no tendrían tiempo para memorizarlo.
Raúl les daba el tema y ellos improvisaban.
Lo mismo con los intelectuales.
Ahora hay que decir que ni unos ni otros tenían conciencia de la camara, se filmaba muy poco en Chile
La película deja mucho espacio para reuniones colectivas, conversaciones, discusiones políticas, lo que hace pensar en situaciones similares en las películas de aquellos años de Godard, Bellocchio, etc. En otras palabras, se siente un intento generalizado y urgente de filmar la palabra política, lo que también hace pensar en la forma en que Roberto Rossellini la había puesto en primer plano cuando filmó a Allende en 1971. ¿Fue este peso de la palabra un don especial de la época o esta dimensión específicamente discursiva era algo que Ruiz tenía en mente desde antes?
En la época de la Unidad Popular todo se discutía. Se estaba creando algo nuevo, cada partido tenía su idea de como tenía que ser el proceso. Mientras tanto los militares se preparaban.
Asambleas todos los días, manifestaciones, discusiones en las fabricas etc etc,
Hay momentos muy bellos en la película, de pura abstracción, de hecho, casi coreografiados, como cuando los trabajadores de la fábrica ocupada se enfrentan con palos de madera, como en una sesión de aikido. Casi parecen insertos musicales, en una película donde la palabra tiene un peso tan fuerte. ¿Cree que es esta especie de máquina de logos sin fin la que conduce a la abstracción?
No sé.
Lo que puedo decir es que eso muestra la inocencia
¿Cómo trabajó en la investigación de archivos? Hay documentos increíbles, como la manifestación de señoras burguesas, armadas con cacerolas, una de ellas lleva una estatua de Jesús en brazos, hay varios carteles que dicen «queremos seguridad, orden, progreso»...
Jorge Müller camarografo del film , salía por su cuenta y filmaba los elementos documentales del film, que hemos integrado porque nos pareció importante, también por Jorge que fue un compañero que tomaron preso y despareció con su compañera.
Justo antes del final hay una larga secuencia que consiste en una serie de suicidios. Esta presencia de la muerte, o más bien su serialidad imparable, es el hilo negro que entra en cada una de las películas de Ruiz, y luego circula libremente entre las imágenes, pero este juego de la muerte se desarrolla cerca de una tragedia y siempre parece descartar lo trágico para elegir en su lugar lo cómico, la persistencia del juego. Es el grupo de poetas que elige suicidarse, todos lo hacen de diferentes maneras... ¿se trata de nuevo de autocrítica? ¿Qué le parece?
Yo creo que Raúl siempre tuvo una capacidad premonitoria.
Puedes contarnos algo más sobre las secuencias finales, en la película restaurada, que son rojizas (¿se usó un filtro?) y se intercalan con los créditos finales; son secuencias de manifestaciones en las calles de Santiago, llenas de gente joven, de niños jubilosos, se siente un pueblo unido en un sueño colectivo, son realmente desgarradoras....
Esas eran imágenes de Jorge Müller nos pareció importante utilizarlas.
La música también juega un papel importante en esta nueva versión de la película, es como si formara parte del ritmo, del propio montaje, una forma «irónica» de vals compuesta por Jorge Arriagada. ¿Cómo trabajó en la banda sonora?
Le pedí una música como de un orfeón (alegre-entusiasta) y poco a poco se fuera desarmando
Al principio de la película, hay un hermoso coche-cámara que rodea un monumento rodeado de un prado alrededor del cual hay grupos de personas, con varias cámaras, pero quizá también podrían ser cámaras, parece un decorado, ¿qué es?
Es un monumento que está en plaza Baquedano, dónde la gente se iba a tomar fotos. Lo tomamos de un documental que hicimos con Raúl sobre los fotografos de plaza.
Era un guiño a la actualidad porque ese monumento y esa plaza se convirtieron en el centro del último movimiento popular en la época de Piñeira
Además, es allí mismo donde el poeta intelectual encuentra un paseo en coche donde en un momento dado se dice una frase bastante siniestra y profética sobre la necesidad de matar al Presidente... Para nosotros, hay muchos momentos que dan a la película un aire de inquietud general. Perdone que insistamos, ¿es algo que ya tenía muy claro en ese momento, la profecía de una tragedia?
Raúl insisto tenía esa capacidad o facultad premonitoria, pero creo que es solo lucidez.
Otro dato :
El actor que es el obrero en el film decidió años más tarde después del golpe crear el partido socialista pro Pinochet (¡) Cuando percibió eso Raul ?
Hay lagunas repentinas en la película, discontinuidades o rupturas, síncopes. ¿Esta discontinuidad (que es muy productiva en términos de significado) ya formaba parte del tejido original de la película de cuatro horas, o resulta de la reconstrucción y reducción del material recuperado de los archivos?
Creo que las dos cosas.
Y volviendo al tema de la duración, ¿habéis conseguido Raúl y tú proyectarla alguna vez en su duración o duraciones originales? ¿O al menos verla una vez entera?
No lo que Raúl vió fue solo la versión BFI
Un humor muy sutil atraviesa la película, ya en juego en el título, pero también se tiene la sensación de un deseo de comprender algo que todavía se estaba poniendo en práctica, algo que históricamente todavía estaba en marcha, como la gestión de las fábricas después de ocuparlas, en resumen, hay un deseo de filmar la palabra de los obreros, que parece «auténtico», es decir, no meramente irónico...
Lo más autentico del film son los obreros, eran los únicos que sabían lo que estaba en juego
Por último, la parte sobre el intelectual/poeta cuyo sueño secreto de una revolución implementada es que todo el país componga poesía nos hizo pensar en Nadje dijo nada, otra película profética. Creemos que Nadje dijo nada, El Realismo socialista y Diálogo de Exiliados forman una tríada inseparable.
Es evidente que lo que atraviesa esos tres films es la observación de la chilenidad.
Con su ironía y lucidez.