Il movimento aperto delle relazioni umane
Vanna Carlucci
È il 1990 in Cile, cade la dittatura di Pinochet, si apre un nuovo capitolo, una strada che, in questo film, diventa una via sbeccata, selvatica, metafora di una rinascita (quella del Cile, ora, democratico) che deve arrivare ancora a piena maturazione e deve riformulare il proprio senso attraverso una costante interrogazione. Tarde para morir joven (presentato in concorso a Festival di Locarno e vincitore del Pardo per la miglior regia) rappresenta un lungo percorso che non si chiude mai, come una domanda sempre aperta, una dimensione sospesa dentro un territorio fuori dal mondo, dalla città, senza confini. Qui, nella natura, vive una piccola comunità di famiglie, adulti e adolescenti come figli di un tempo non ancora nato. Non esistono muri, anche le piccole abitazioni diventano finestre sul mondo, un eterno sguardo aperto (quello della regista) ed un eterno slanciarsi verso l’altro da parte dei singolo. Il concetto stesso di comunità è un rendersi conto della presenza dell’altro non come barriera ma come mezzo che scatena passioni attraverso l’esposizione della propria singolarità: comunità «come essere in comune. L’in (il con, il cum latino della ‘comunità’) […] indica un essere in quanto relazione, identico all’esistenza stessa: alla venuta all’esistenza dell’esistenza. […]» (J. L. Nancy 1986, p.184). La condivisione degli spazi diventa ogni volta ridefinibile, riconfigurabile e dunque mai compiuta non perchè c’è mancanza ma perché lascia aperta ogni possibilità di trasformazione.
Ogni fotogramma diventa immagine evanescente, un cane scompare riappare e, ancora, esce di scena, sembra quasi chiedersi cosa resta di un tempo ormai trascorso e cosa si perde tra i fumi di una terra ai piedi delle Ande. C’è la nostalgia, un sentimento che s’impolvera per tutto il film e c’è il colore sbiadito della mancanza (il tempo in cui la stessa Dominga Sotomayor ha vissuto) che si fonde con certe musiche anni ‘80; ogni immagine sembra la proiezione di una vecchia pellicola o VHS, ogni momento sembra la rievocazione di un ricordo. Ma Tarde para morir joven è anche e soprattutto un racconto su alcuni adolescenti (Sofia, Lucas e Clara) in piena lotta con se stessi e con l’altro: in fondo l’occhio di Dominga Sotomayor è concentrato a seguire il movimento delle relazioni umane (prendiamo Mar, ad esempio, che inscena la vita di una coppia al mare; o De juvenes a Domingo che ritrae il viaggio di una famiglia in vacanza) senza l’aspettativa che ci debba essere un colpo di scena. La quotidianità è ripetizione e in questa partitura emerge la vita: l’amore allora diventa scavo interiore, attesa verso una madre che non tornerà mai più, lotta per la conquista di un bacio, delusione, odio: è la natura stessa a diventare madre ostile pronta a bruciare.