Il futuro alle spalle
Giona A. Nazzaro
Collocato fra il terzo e il quarto capitolo dei Transformers, Pain and Gain (Dolore e guadagno), è il suicidio commerciale di Michael Bay. Film costato relativamente poco rispetto alle macchine cui il regista ci ha abituato, è una sorta di catalogo delle brutture e delle mostruosità. A vederlo senza badare ai credit, si penserebbe a un film di George Armitage periodo Miami Blues. Stesso tocco ultrasgradevole, medesima spietatezza nei confronti dell’idiozia. Ma è un film di Michael Bay, probabilmente il cineasta di maggior successo economico degli ultimi decenni. Ed è un fallimento, voluto, cercato. Praticato come se il cinema non avesse futuro. E non è un caso che all’inizio del quarto capitolo della saga dei Transformers, il robot-camion si trovi dimenticato in un cinema in disuso. Bay, in termini strettamente industriali, si concede il lusso di produrre il film a medio budget che a Hollywood nessun grande produttore ha più intenzione di fare. Si inizia a parlare di produzione a partire da 100 milioni in su. Bay un passo indietro. Il futuro può stare alle spalle, non necessariamente sempre davanti agli occhi. Si proietta all’indietro in un’ipotetica zona temporale settantesca, recupera un’arrogante anarchia formale che sa molto di Corman gonfiato agli estrogeni e, così facendo, fornisce anche un preciso indizio su cosa è cambiato nel cinema americano dagli anni Ottanta in avanti. La follia di Pain and Gain, il suo violento e sgradevole nichilismo, sono il segno della consapevolezza di chi, in assenza di un discorso critico, si permette di autoprodursi il discorso sullo stato delle cose dell’industria cinematografica. Fallire, economicamente, realizzando il film più teorico prodotto a Hollywood da un regista che non si chiama né Fincher e né Anderson. E soprattutto, significa mettere in luce quale è il pensiero cinematografico che non avrà più cittadinanza né tanto meno futuro a Hollywood a meno che non si accetti il rischio di un inerente vizio di forma. Ed è solo così che si spiega poi il luddismo merceologico dei Transformers.