"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Edipo Massi

Sunday, 07 June 2020 20:03

4  more films from DAU
(The Empire – The Return of the Prodigal Son, Three Days, Nora Mother, Katya Tanya) 

Una delle molte linee che attraversano verticalmente DAU è costituita da un gruppo di film-conversazione. I personaggi in gioco (in genere un duo, nel caso di Three Days tre) conducono un dialogo a oltranza che all’ascendenza socratica unisce il prosciugarsi della parola e infine del rapporto stesso, estenuato, azzerato, reso quasi liquido dal principio ipnotico di partenza. Di nuovo, a creare problemi, è l’inserimento di queste curvature astrali (e matematiche: si ricordi che la grande diatriba interna all’Istituto è fra teoria pura e sperimentazione) all’interno di una ramificazione narrativa. L’accumulo della parola come teoria sonora e anche metafora del continuo sperperarsi di forze nella storia, in qualche modo si depotenzia. Quand’anche opera a sé all’interno dell’opera DAU (è il caso di The Empire - The Return of the Prodigal Son diretto da Ilya Khrzhanovsiy con Anatoly Vasiliev, anche protagonista di questo dialogo infinito con Dau in persona tra il 1938 e il 1952 e che viene definito romanzo in quattro parti, di cui The Prodigal Son è la prima e l’unica finora visibile), questi film hanno la fragilità di produrre un irrimediabile effetto seriale, che in qualche modo li snatura allotanandoli dal proprio soggetto. Alcuni sembrano addirittura scontare l’assenza di materiale solido, come Katya Tanya, sicuramente il meno riuscito e frettoloso; altri, come Nora Mother, restano abbastanza anodini. Eppure sono testi obliqui, scivolosi, allusivi. In Empire sprigionano un’energia ossessiva e visionaria, con i due protagonisti bloccati sul piano inclinato della storia e del significato del potere. Three Days ha forse due dei personaggi femminili più intensi che si ricordi di recente. L’amante e la moglie di Dau, impegnate a non soccombere di fronte all’evidente vigliaccheria ipocrita dello scienziato a capo dell’Istituto. È chiaro che l’idea di un universo distopico che mostri il principio distopico stesso della storia umana, passa proprio per ciò che la caratterizza, cadute vendette futilità imprecisioni cecità tradimenti buchi verità menzogna. Ma allora è inevitabile dover considerare la possibilità di alti e bassi dell’opera stessa, paradossalmente salvata dall’origine narrativa che si ostina a combattere, vittima dell’illusione che la verità sia a portata di mano (l’illusione di tutte le dittature).

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