"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Luigi Abiusi

Sunday, 07 June 2020 20:28

Cancroregina

Mi sveglio, sempre alla stessa ora la mattina, perversamente, perseverante nel respiro, questo meccanismo autistico, questo circuito animale, quest’ordine ostinato, ottuso; ancora intriso dei sogni impestati, scosso da una monodia, da una striscia odorosa di sole, di cielo biado oramai penetrante dalle asole delle tende, ora che la dissennata corsa del mondo sembra arrestatasi per un momento e stagnare nel silenzio delle città colossali; così lento, scrignuto, in balia di cispe e dei raspi furenti, crudeli dei sogni impestati, riempio un bicchiere di kefir come fosse la stricnina del Console e lo lascio decantare sul canterano, in bilico tra le carte, le penne, le varie ciarpe. Di fronte s’erge la mia Cancroregina, oscuro oggetto del desiderio; luminoso, tornito ossequio all'inorganico il mio impianto stereo che spolvero, accarezzo: totem di oscuri, bruniti congegni, di manopole, valvole che fanno capolino come piccole lune, magnifico intrico di cavi la mia Cancroregina, «questi contorti o levigati apparecchi, questi bottoni, queste chiavi, queste leve, questi complicati sistemi, grappoli, fasci, grovigli di elementi d’acciaio, di vetro, di non so cosa...» che s’apprestano a distillare partiture elettroniche per lo più, roba di mog, ricami di lampi fini, di bassi, ancestrale scansione del tempo, che arrivano in sincope carpiata, si spandono come carpenteriani, mentre mi sorbo tutto in acida estasi il kefir, latteo, denso covo di probiotici. Me li vedo incunearsi nelle catacombe dell’esofago, giù per tubi elastici, caverne di tessuti illividiti da anni e anni di cellule sull’orlo del suicidio, gelatine rosate, giallognole, ai fosfori verdi, che sono gli spazi, gli scorci creati dai Craven Faults mentre sul giradischi si districa, quasi si scioglie in un mare vitreo Erratics & Unconformities, doppio vinile di suite di apnea elettronica, progressiva: gli arabeschi sintetici, cupi, infiniti di Wacca Wall che si addensa di cielo catramoso, spasimante, pozzanghere in cui sono riverso, terra desolata che poi si scioglie nella pioggia fitta, costante di Deipkier. Senonché giunge l’immenso, danzante turchineggiare, Cupola Smelt Mill di volto intento, braccia spalancate, di capelli a danzare, a flettere, a vento, si riesce a respirare a stento, fino poi all’incedere propriamente carpenteriano di Slack Sley & Temple e così via, ossessione di gran cassa e di bassi, che il mondo stride sotto assi sgangherati che ti stanno stritolando.

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