"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Edipo Massi

Sunday, 07 June 2020 20:52

4 films from DAU
(Natasha, Brave People, New Man, Degeneration) 

Se la massa di opere che fanno parte del progetto DAU di Ilya Khrzhanovsky sono prima di tutto un’indagine sociopsicofilmica, ciò porta inevitabilmente a considerare i film solo nel contesto DAU (dell’esperimento che ha coinvolto per anni migliaia di persone non diremo nulla, se ne è già scritto troppo, potete trovare tutto in rete, buona lettura). Tuttavia, dopo la prima uscita in stile esposizione universale a Parigi e la prima in programma alla scorsa Berlinale dei film Natasha (co-diretto da Jekaterina Ortel) e Degeneration (co-regia Ilya Permyakov), la quarantena (imposta? reale?) dei partecipanti di DAU ha coinciso profeticamente con la quarantena (imposta e reale) causata dal COVID-19 (maiuscolo come DAU). La decisione di Khrzhanovsky è stata di mostrare (diciamolo: rilasciare, inoculare come un virus) in rete tutta la serie di film messi a punto a partire da oltre settecento ore di girato. L’operazione viene definita ora, con una ambiguità etica molto simile all’idea stessa del progetto, “isolation film”. DAU sarebbe dunque il film perfetto per l’apocalisse chiamata lock down. Qui è dove potete isolarvi: dau.com (il rilascio è progressivo e attualmente sul sito, alla modica cifra di tre dollari l’uno, sono visibili otto capitoli della saga e annunciati altrettanti, ma il numero finale sarà di molto maggiore: anche qui, si rimanda al sito, buona lettura). Il fatto è che però questa scelta permette finalmente di considerare i film anche al di là del contesto. I due già citati, insieme a Brave People (co-regia Aleksey Slusarchuk) e New Man costituiscono un gruppo omogeneo e forse il più capace di superare l’impasse. Seguono con pervicacia (alla caméra sempre il grande operatore tedesco Jürgen Jürges) una linea di verticale decadenza e chiusura paranoica in cui vengono coinvolti sullo stesso piano di folle immaginazione e degenerazione la realtà storica della dittatura pre e post Stalin, il meccanismo politico e di rapporti umani altrettanto reale creato all’interno dell’Istituto-set del film, dove è a sua volta e di fatto difficile distinguere fra tracce narrative e reali accadimenti tra le persone che realmente hanno accettato di vivere per anni al suo interno, conducendo veri esperimenti matematici, teoretici, eugenetici, sociali, formando vere famiglie, mettendo al mondo veri bambini, seguendo vere regole interne, mangiando, dormendo, discutendo, scopando coscienti di venire filmati mentre dormono mangiano discutono e scopano. I quattro film in questione, di cui Degeneration resta il più ispirato (e New Man che di Degeneration riprende quasi lo stesso montaggio della seconda parte concentrandosi però solo su personaggio di Maksim: anche queste piccole frodi fanno parte di questo gioco molto serio al massacro), superano meglio di altri quello che resta il paradosso filmico maggiore di tutta la messa in scena: ossia la costrizione del montaggio, che è certo necessario a mettere ordine in un metodo di riprese a mano quotidiane e basate su dei filoni narrativi, ma per cui qualunque taglio rischia di sembrare innaturale e di mentire minando spesso alle fondamenta l’idea perversa di opera totale in tempo reale. Non a caso Natasha si chiude con la tortura della protagonista (l’ormai famosa bottiglia nella vagina), Brave People si apre e si chiude con la vivisezione di un topo e Degeneration finisce con un maiale sgozzato sul set e i protagonisti stessi che distruggono l’Istituto, dunque il set che li ha accolti per anni, e liquidano i suoi abitanti. DAU odia il montaggio: curioso contrappasso per un’opera che riflette sul sovietismo. Forse DAU odia il film DAU. Soprattutto odia la sua pretesa di essere documentato

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