Il battuage della libertà o Della morte dell’Europa
«Quella del bonheur è una scienza. Un’arte che esige applicazione. Felicità è un concetto tutto terrestre, sinonimo di armonia, socievolezza, godimento, curiosità. Siamo in una società teatrale, innamorata di sé, insieme libera e altamente formalizzata. Un mondo dove si può fare qualsiasi cosa, a condizione che la si faccia con eleganza. L’unica infamia è il ridicolo» Benedetta Craveri, Gli ultimi libertini
«L’homme qui veut paraître indiferent à un événement qui décide de son état n’en a que l’air, à moins qu’il ne soit imbécile ou enragé. Celui qui se vante de tranquillité parfaite ment et j’en demande mille pardons à Socrate. Je croirai tout à Zénon, lorsqu’il me dira d’avoir trouvé le secret d’empêcher la nature de pâlir, de rire et de pleurer» Giacomo Casanova, Histoire de ma fuite des prisons de Venise
«El plaer egoista és medieval, estimat comte, a les Llums estudiem i treballem la física de l'amor. Cerquem el progrés en el plaer, com en tots els altres camps i, com és lògic, de l’estudi aplicat, sense prejudicis, en neix la ciència, i d’aquesta estats, els temperaments, les condicions i, és clar, plaer per a totes les edats» La contessa di Weinsbach, rivolgendosi al conte de Tesis in Liberté, Albert Serra
1774. Una radura tra Potsdam e Berlino. Uno stagno, dei sentieri, una montagnola, una carrozza “parcheggiata”. Sullo sfondo una boscaglia e il cielo sembrano aprire la scena oltre il trompe-l’œil. La luce è notturna, a volte crepuscolare. L’alba e il tramonto. Perturbamenti.
Due giovani valletti, Catalin e Armin, entrano in scena, si siedono ai bordi dello stagno e scambiano confidenze e considerazioni, si lamentano del loro vagare senza meta, invece di potersi rifugiare in calde camere, passando di letto in letto.
Sussurrano timidi, settecenteschi nomadi precari nella Berlino felix di Federico il Grande, dei Lumi che tentano di accendersi in Prussia, ma che forse è anche la Berlino di Angela Merkel, del post-porno, del lab.oratory, del Berghain, di una gentrificazione che è arrivata a espellere la lingua tedesca dai bar e dai ristoranti di Mitte dove ormai si parla solo inglese.
Sussurrano timidi e il pubblico in sala urla: “Più forte! Non sentiamo! Più forte!”.
Il pubblico è impaziente e poco disposto a perdonare passi falsi. Probabilmente manifestando le tensioni che si sono create attorno alla Volksbhüne dopo la nomina global dell’artystar Cris Dercon al posto dell’icona Frank Castorf.
E il testo di Albert Serra e la sua messa in scena si incastonano provocanti e contraddittori in piena Rosa-Luxembourg-Platz amplificando altre contraddizioni.
Sul palco/radura si avvicendano gli intrighi, gli incroci, le improvvisazioni.
Sì, perché Serra lascia liberi i suoi non-attori di decidere le loro traiettorie a volte perfette, a volte goffe, aspettando che il miracolo del (suo) cinema si avveri nel cruising delle portantine e delle carrozze; aspettando che l’illuminazione del libertinismo accenda il palco attraverso la voce fassbinderiana di Ingrid Caven, duchessa di Valseley, e i rochi, teutonici, morenti sussurri di Helmut Berger, duca di Walchen. Caven e Berger, due icone di un cinema che non esiste più, unici attori professionisti sul palco e forse per questo i più bravi a non esserlo.
E intanto le trame si infittiscono, i corpi si incrociano. Nella carrozza “parcheggiata” il duca di Welchen riceve donne e uomini.
La notte. Il crepuscolo. Le traiettorie.
Nobili francesi cacciati dalla corte del puritano Luigi XVI cercano di approntare un piano per introdurre le pratiche libertine a Sans Souci dove vent’anni prima già era arrivato Voltaire.
Badesse promettono di trasformare novizie in cortigiane; un nobile italiano, il conte de Tesis, e il suo socio, Herr Wand, un commerciante tedesco, vengono contattati per dare il sostegno economico al progetto: studio di fattibilità che comprende una possibile cura per la sifilide, l’aids del XVIII secolo, o magari un qualche esotico coadiuvante per democratizzare e espandere il piacere sessuale (un popper ante litteram?), palesando l’inevitabile e mortifero abbraccio tra libertinismo, illuminismo e il capitalismo coloniale borghese.
“La valuta cartacea, cara duchessa, è valida in Svezia, Inghilterra e in altri luoghi, come sai molto bene, e fu introdotta in Francia durante la reggenza di Filippo [Filippo II, duca di Borbone-Orléans, assunse la reggenza del Regno di Francia durante la minorità di Luigi XV]. Non è assurdo pensare che fu una delle cause dell’esplosione delle pratiche libertarie sotto la sua reggenza trasformando profondamente la percezione della ricchezza come realtà stabile e dando al flusso di spesa uno splendore sconosciuto fino ad allora”, fa notare spietatamente il borghese Herr Wand alla duchessa di Valseley.
In questo sorta di parcheggio notturno non può che trovare la fine l’utopia europea dell’Illuminismo, proprio perché l’utopia non può reggere la luce del capitale.
Solo nella luce soffusa e confusa della notte, nell’ambiguità del crepuscolo i corpi possono ambire alla libertà della ragione che si accoppia con l’universalizzazione del desiderio. Prima che il sole sorga e “la peculiare struttura architettonica del sistema kantiano, come le piramidi ginniche delle orge di Sade e la gerarchia di principi delle prime logge borghesi – il suo pendant cinico è il severo regolamento della società libertina delle 120 Journés” travasino l’utopia della rivoluzione francese che sta per scoppiare nella musica e nella filosofia tedesca trasformando la ragione desiderante in ragione borghese senza scopo.*
Tra i cespugli di Rosa-Luxembourg-Platz nasce e muore l’Europa e l’ossessione di Serra per il libertinismo, la sua “esplorazione di una carnale idea di Europa” (come racconta nell’intervista raccolta da Giulio Bursi per il foglio di sala) non può che flirtare con la morte: quella di Casanova, di Luigi XIV fino alla morte del duca di Walchen, mentre Ingrid Caven canta in una trance quasi-Nina-Hagen il mozartiano Ave Verum Corpus (1791) nella versione di Marc Verdaguer.
E il corpo vero di Helmut Berger, appoggiandosi a un bastone, esce finalmente dalla carrozza “parcheggiata” del duca di Walchen che non ha mai lasciato per le due ore di spettacolo ed è come se si affiancasse, fantasmatico, a Casanova e a Luigi XIV, gli altri due Jedi della trinità di Serra.
Il pubblico applaude, qualcuno fischia, molti andranno al Berghain, qualcuno alla festa di chiusura del Forum, qualcuno altro a fare crusing nel buio dei club di Nollendorf.
*Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, “La dialettica dell’Illuminismo”, Einaudi