"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

THE LAST THINGS BEFORE THE LAST (9) - El año del descubrimiento (Luiz López Carrasco)

Sunday, 07 June 2020 12:40

Davide Oberto

Gli anni della scoperta

1492 Cristoforo Colombo “scopre” l’America.

1982 la Spagna “scopre” di essere entrata nEl Futuro con la vittoria elettorale del PSOE 6 anni dopo la fine del franchismo avvenuta nel 1976.

1992 la Spagna “scopre” di essere cool, europea e cool e smart: 10 anni di governo socialista, la movida almodovariana, l’Expo universale di Siviglia, le Olimpiadi a Barcellona.

 

“Il barone de Coubertin era convinto che l’educazione cambi il comportamento e che, pertanto, sia anche in grado di rigenerarlo. La Rivoluzione industriale aveva provocato uno spostamento di massa di lavoratori agricoli nelle città, e l’esercizio fisico condizionato dalle regole del braccio di ferro con la natura si era incastrato nei solidi spazi delle fabbriche e nella programmazione predeterminata del lavoro industriale. Inoltre, la nuova classe operaia se ne stava affastellata nei quartieri rifiutati dalla borghesia e dall’aristocrazia, vivendo in cattive condizioni di salute e igiene. Curiosamente, i benefattori del XIX secolo inventarono lo sport sociale affinché gli schiavi dell’industria fossero meno infelici…”

(Manuel Vázquez Montálban, Sabotaggio Olimpico, Feltrinelli, 1993)

 

A metà strada tra la catalana ricca e olimpica Barcellona e la riqualificata e universalizzata -dagli archistar che in quegli anni costruiscono le stesse cose nella Berlino post-muro - Siviglia, c’è Cartagena, nella Regione di Murcia.

 

“Te quiero porque eres sucia guarra, puta y lisonjera la más obscena de Murcia y a mi disposición entera. Sólo pienso en ti, murciana porque eres una marrana”

canta Alaska in Pepi, Luci e Bom e le altre ragazze del mucchio, film di esordio di Pedro Almodóvar nel 1980.

 

Cartagena è stata una città industriale spagnola: sede di industrie navali e chimiche, ma anche area mineraria. Cartagena, fondata dai cartaginesi in transito verso le Alpi per prendere di sorpresa con i loro 100 elefanti i molesti Romani, fu anche una delle città che resistette al franchismo durante la Guerra Civile nel 1936 e che pagò un alto prezzo per questo e che è tutt’ora sede del Parlamento regionale.

 

Cartagena e i suoi abitanti sono i protagonisti in splitscreen di El Año del Descubrimiento di Luis López Carrasco; 40 personaggi tra studenti, operai, disoccupati, uomini e donne: la classe media, socioantropologicamente parlando.

 

Rivedere El Año del Descubrimiento in pieno lockdown da pandemia coronarica crea un effetto ancor più straniante con la barra che divide i due schermi dello splitscreen che pare essere diventata una parete divisoria in plexiglas per disinfettare la socialità, per rendere innocui i discorsi e gli incontri e le discussioni e i ricordi.

 

Eppure, quei due schermi affiancati, ciascuno in formato video vintage, insieme a creare un superscope epico, ci raccontano delle vite e dei corpi che sono incredibilmente atemporali. O, meglio, molto temporalmente situati in quei 30 anni che dalla caduta del Muro di Berlino, attraverso gli sfavillanti anni ‘90 della fine della Storia, ma non delle storie, arrivano alla crisi del 2008 fino al collasso capitale Covid-19.

 

AUNQUE NO LO RECUERDE SÍ QUE LO È VIVIDO

 

La prima testimonianza è un sogno di un giovane uomo che si ritrova nella scuola elementare della sua infanzia e incontra amici, compagni, parenti e si rende conto a poco a poco che sono tutti morti e anche lui lo è. E il sogno termina così. E il film inizia.

 

E i suoi personaggi non sono fantasmi, ma spettri sì!

 

“La production du fantôme, la constitution de l’effet fantôme, ce n’est pas simplement une spiritualisation, ni même l’autonomisation de l’esprit, de l’idée ou de la pensée, telle qu’elle se produit par excellence dans l’idéalisme hegelien. Non, une fois cette autonomisation effectuée, avec l’expropriaction ou l’aliénation correspondantes, et alors seulement, le moment fantomal lui survient, il lui ajoute une dimension supplémentaire, un simulacre, une aliénation ou une expropriaction de plus. À savoire un corps! Une chair (Leib)!”

(Jacques Derrida, Spectres de Marx, Éditions Galilée, 1993).

 

Spettri incarnati le cui testimonianze, discussioni, racconti ci fanno dimenticare di essere nel 1992; spezzano il plexiglas dello splitscreen e ci perdono in un vortice temporale in cui diventa impossibile capire in che epoca siamo, se non in quella scoperta di un eterno presente che dagli anni novanta continua fino ad oggi. Contraddizioni irrisolvibili tra ecologia e economia e vita: minatori e operai costretti a scegliere tra il lavoro e il rischio di inquinare la loro vita e quella dei loro congiunti (e non stiamo parlando di Taranto e dell’Ilva o forse sì); tra famiglie intere lasciate senza sussistenza e la comunicazione di una Spagna sfavillante e felice; tra un’agricoltura locale pensata solo per l’esportazione e il consumo globalizzato per poter mangiare.

 

E una donna sui 55 continua a pelare patate, a cucinare per gli avventori e avventrici di un bar o di una osteria, luoghi di socialità e di politica, che in due mesi di virus invisibile abbiamo già dimenticato.

E una donna sui 55 crea una mise en abîme vertiginosa e senza requie con la femminista Jeanne Dielman interpretata da quell’eccentrica meravigliosa attrice che fu Delphine Seyrig, attrice e militante.

“J’ai fait ce film pour donner une existence cinématographique à ces gestes. Et j’ai écrit avec Deplhine completement dans ma tête” (Chantal Akermann a proposito di Jeanne Dielman, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles, 1975).

E quei gesti tornano reali e ancor più cinematografici nel momento in cui stanno sparendo dal Reale in cui dovrebbero essere riconosciuti.

 

INCOMODO

 

E sì, ci sentiamo a disagio come la giovane donna che abita in un quartiere popolare, diventato zona di spaccio e prosituzione e che viene fermata da macchine borghesi solo in quanto donna e quindi in quanto corpo in vendita.

Ci sentiamo a disagio come quei sindacalisti che si trovano provati di ogni strumento di lotta da un partito, una volta amico, ora braccio armato di un governo colluso col capitalismo post industriale.

Ci sentiamo a disagio nello scoprire che la geografia del mondo è ridotta a Continente.

Ci sentiamo a disagio nel pensare che quelle pietre lanciate durante le manifestazioni del febbraio 1992 che porteranno all’incendio del Parlamento regionale di Cartagena, sono pietre giuste.

 

“Porque, piedra sobre piedra no hai que ruinas” come sospira un ex sindacalista nel film.

 

ES UN PROBLEMA POLITÍCO

 

Ma anche cinematografico, ma anche (dell’)immaginario.

È un problema politico perché le decisioni che riguardano le nostre vite e la nostra felicità vengono prese da entità (spettrali?) che nessuno di noi ha votato e prima che noi spettri ci trasformiamo in zombie con i nostri corpi in putrefazione abbiamo bisogno di far esplodere le nostre lotte in mille splitscreen moltiplicando gli spazi e confondendo i tempi e i luoghi come gioiosamente fa il film di Carrasco.

Un film gioiosamente politico, epico, in movimento !

 

EPILOGO

 

“Luglio 1993. Un anno fa tutto era pronto per l’inizio dei Giochi olimpici di Barcellona, il più grande spettacolo del mondo, e le esperienze vissute sono state inghiottite dal canale di scolo della crisi di quasi tutto e quasi tutti. Gli dèi se ne sono tornati al vero Olimpo, ma non hanno avuto, a detta delle autorità in economia, nemmeno la gentilezza di lasciarci il pane e il vino. […] “È vero, gli dèi se ne sono andati, come già annunciò Hölderlin, ma lui credeva ci avessero lasciato il pane e il vino. Mi permetta di interpretarlo come una metafora della soddisfazione materiale (gli rispose il “filosofo di famiglia” al telefono, N.d.R.). Davvero non ci rimangono soddisfazioni materiali? Mi ha dato retta? Ha cambiato la pentola a pressione? Ha assaggiato il formaggio caprino di Corçà? Continuano a piacerle i vini della Ribera del Duero? Perché non passa all’acqua minerale gassata?”.

Forse non si tratta di fare, ma soltanto di dire. E dice a Biscuter: “Mettici dei ceci”.

“Nella zuppa Ouka, capo?”

“In tutto… mettici dei ceci e del chorizo. In tutto…”

“Il suo è nazionalismo, capo. L’ondata di nazionalismo che ci sommerge.”

(Manuel Vázquez Montálban, Sabotaggio Olimpico, Feltrinelli, 1993)

 

 

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