Uno skateboard di malinconia
Vanna Carlucci
La macchina da presa scivola lungo le strade di Rockford, cittadina dell’Illinois. Ogni immagine sembra poggiarsi sul niente, sorretta dall’aria che taglia o forse attraversa i corpi di tre ragazzi che nutrono la stessa passione per lo skateboarding: Keire Johnson, Zack Mulligan e lo stesso cineasta Bing Liu. Minding the gap si apre così, con uno sguardo falciato dalla luce che scivola enorme sopra certe strade deserte dove Bing Liu riprende i suoi due compagni con la carezza di chi conosce chi ha di fronte a sé costruendo un documentario che apre ricordi, infanzie, prospettive e lo fa scavando nella malinconia degli sguardi persi nell’aria tiepida della sera, cercando barlumi sui loro profili notturni, tra le crepe delle loro stanze caotiche lì dove la violenza ha creato solchi, provando ad afferrare nel movimento fluido dei ragazzi sullo skateboard uno spiraglio ancora possibile.
Il paesaggio pare apocalittico nella sua completa assenza di vita o forse, di vitalità, colpita com’è dalla recessione economica e che ha fatto dell’Illinois uno dei paesi con il più alto tasso di criminalità. Dentro questo scenario ogni ripresa diventa una voce isolata, rannicchiata in questa coltre di desolazione che sembra investire Zack che ancora piange sulla tomba di suo padre nonostante le percosse subite, Keire che incarna lo stesso atteggiamento violento di suo padre.
In questa carrellata di volti che si ripetono nella loro tragica quotidianità Bing Liu affila i loro sguardi per potercisi riflettere, specchio della propria vita, anch’essa disagiata e che trova voce attraverso le parole di sua madre. Minding the gap riporta in vita una memoria lucida, quella della violenza domestica che crea fratture, rompe legami importanti (quelli tra padri e figli) e crea fardelli impossibili da sopportare; una memoria che è narrazione, un racconto fatto di tasselli temporali, immagini in vhs di vecchi filmati di famiglia per alimentarsi poi di nuove riprese, interviste e voli pindarici sulle quattro ruote di uno skateboard rispolverando così il passato (suo - di Bing Liu - e dei suoi due compagni) per sbatterci la faccia e ritracciare un nuovo cammino. Sembra una eterna rincorsa, quella di Liu che cerca di acchiappare tutto ciò che resta della leggerezza dei suoi protagonisti, una leggerezza che in realtà non esiste se non quando sfrecciano, saltano, volano con i loro skate (l’unico dispositivo che cura dall’angoscia) allontanando il passato, schivando il presente sfondato dal peso di una vita che ha abusato di loro e di cui portano addosso ancora le ferite.