"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)
"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)
Un film che dovrebbe piacere a David Lynch e Bret Easton Ellis. Non solo per la chiarezza con cui ne sono (in parte) l’ispirazione. Da un lato Lost Highway e Mulholland Drive, dall’altro i fatti relativi all’eccidio e ai video di Elliot Rodger (Ellis non è solo una fonte di secondo grado, ma è Bonello – non sappiamo quanto consciamente – che chiarisce alcune cose di Ellis ripensando i video inquietanti girati da Rodger prima del massacro). In realtà Bonello è interessato all’idea e alla tradizione cinematografica del melodramma e perciò attinge a entrambe le sue qualità, ambiguità e inverosimiglianza, riuscendo a farne la struttura stessa del film. Certo, questo comprende anche la passione per l’arte di ‘genere’: Bonello nelle interviste fa nomi e cognomi, Carpenter Romero Cronenberg; e due film: The Age of Innocence e When a Stranger Calls, quello con i primi venti minuti più belli di sempre, l’unico film ad aver capito William Castle). E poi Henry James, il cui racconto The Beast in the Jungle è citato parola per parola nella sezione 1910. Un vero e proprio universo eterogeneo che accumula piccole catastrofi e che ha il pregio di essere sinceramente appassionato, col regista stesso curioso di vedere che effetto fa (il precedente Coma è sicuramente un prologo, degli appunti preparatori). Nei salti da un secolo all’altro, i punti di sutura corrispondono a altrettante fratture, tutto gioca a ricamare eco e ritorni, tutto gioca a portare il film sul piano di un inconscio assoluto, in modo che i personaggi e le loro immagini impediscano alla narrazione di limitarsi al dato metaforico, anzi in modo che lo combattano per attestarsi invece sulle frequenze di un ben più visionario invisibile.