"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Simona Fina, Erik Negro

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Cavalo Dinheiro (Pedro Costa)

Wednesday, 15 April 2015 15:20

Il cuore messo a nudo e la mente che cancella

Naked

Due spettri continuano ad aggirarsi per l’Europa, quelli di Ventura e Pedro Costa, un sottoproletario e un artista. Già questo basterebbe a farci sussultare, ma c’è di più. Pedro è un sincero intellettuale che ama il prossimo suo e conosce Baudelaire, non si avventa sugli sfruttati coi metodi sgarroni italiani né propina quelle camurrìe cattocolonialiste da “documentaristi europei”; piuttosto abbraccia Ventura come Nietzsche il cavallo a Torino. Mette il suo cuore a nudo, cosciente che per essere sublime senza interruzione deve vivere e dormire davanti a uno specchio, lo trova in Ventura. Entrambi non trovano posto sulla terra, la Civiltà della guerra e delle macchine ha sostituito queste agli uomini e alle bestie, e come non ha più bisogno dei cavalli e dei fanti ne ha ancor meno dei “cantori”. Ce le suonano e se le cantano da soli e il sottoproletariato e gli artisti sono gli strati che più ingrossano le fila nei tessuti marci dell’uomo d’inizio millennio.

Ventura che attraversa bui tunnel sotterranei, scosso dal Parkinson e frantumato dalla fatica, ricorda molto più Eusébio da vecchio che Ethan in The Searchers. Anche Pedro, che non possiede il piacere di De Oliveira, che non prova la voluttà di Monteiro, somiglia molto più a CR7 e Mou, ossessionati dalla perfezione e divorati dall’ansia di prestazione. D’altronde il cinema (inteso come accumulo dello spettacolo) e lo sport sono le due vie offerte ai dannati della terra e della storia dopo che la Civiltà dalle radici giudaico-cristiane ha ottenuto il trionfo in tutti i campi, soprattutto quelli di concentramento. Ventura e Eusébio hanno una storia in comune ma un fato opposto. Pedro Costa e Ventura hanno una storia opposta ma un fato comune e come in una fiaba di Sergio Citti partono, questa volta per le cornici del Purgatorio. Non sono sicuri che in vetta si trovi ancora il Paradiso Terrestre, affrontano questa odissea senza Itaca e senza Nostos ma piena di Saudade (qui come nostalgia del futuro), sperando di incontrare Euridice e farla sparire come l’inconsolabile Orfeo di Pavese/Straub.

Non è dato sapere come va a finire, Pedro rimane dietro una finestra come Irene nel finale di Europa ‘51 mentre Ventura un po’ più avanti si riflette sulla vetrina di una coltelleria.

Pare che il primo bisbigli: “Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo.”,  mentre l’altro urla: “La stagione che avevo cercato era là in quel barlume. Non m’importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, fu il canto e il mattino. E mi voltai”.

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