"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

LE TEMPS RETROUVÉ (3) - A metamorfose dos pássaros (Catarina Vasconcelos)

Sunday, 14 March 2021 13:59

Giulia Mai, Edipo Massi

There is no avoiding time

E benché non ci sia modo di evitare il tempo, è pur vero che trattenerne alcuni momenti, sospendendoli, pare inevitabile. “Le passé c’est pas qui a disparu, c’est au contraire, ce qui nous appartient. Ce qui nous appartient maintenant c’est les souvenirs qu’on a tous les deux”1 diceva Ismaël Vuillard (Mathieu Amalric) a Elias (Valentin Lelong) in Rois et reine (I re e la regina) di Arnaud Desplechin.

Talvolta, però, i ricordi del tempo trascorso assieme non sono sufficienti perché uno dei due non c’è più, se n’è andato, lasciando, a chi resta, un luogo, che è una mancanza.

Catarina Vasconcelos ha perso la madre quando aveva 17 anni. Jacinto, suo padre, perse la sua improvvisamente, prima che Catarina nascesse. Padre e figlia si sono ritrovati uniti nell’assenza della madre e nell’impossibilità di nominare un vuoto. A metamorfose dos pássaros è un flusso di invenzioni e memoria originato dal desiderio che la mancanza provoca.

Reinventando la storia di Triz (Beatriz) e Henrique - i genitori di Jacinto - che si sviluppa a sua volta nei tentativi di colmare la distanza fisica tra i due, a causa dei ripetuti viaggi di Henrique, ufficiale della marina, Catarina Vasconcelos mescola ricordi reali con immaginazioni legate a fantasie infantili sue e del padre, con la storia del Portogallo nel quale Triz è cresciuta e ha preso coscienza di sé e inserisce il proprio corpo e la propria voce all’interno di questo luogo.

A metamorfose dos pássaros è infatti un film che ha una sua durata, canonica, ma che occupa quel tempo dilatandolo e deformandolo. Il tempo così diventa un luogo espanso, in grado di contenere e raccogliere dettagli, segni, sensazioni e pensieri, che vengono dall’autrice e da suo padre, dai familiari e da ciò che negli anni li ha formati.

La libertà con la quale Catarina, mossa dal desiderio soverchiante di “mettere in salvo” tutto ciò che non si può dire né vedere, si permette di abolire il tempo, consentendo a Triz e a sua mamma di abitare un luogo in cui poter essere raggiunte “per sempre”, è commuovente. La commozione deriva dal riconoscimento di un atto puro, disarmante, di fede totale nell’unico mezzo di cui l’autrice si possa servire, ossia il cinema. Il film diventa dunque un atto di resistenza alla caducità, alla morte e anche alla dimenticanza - e in questo senso A metamorfose dos pássaros assume un significato politico ben preciso. Non è sufficiente imprimere delle parole su un libro di storia perché queste vengano lette ma soprattutto abbiano delle conseguenze sulle azioni future. La memoria in una teca si disinnesca, muore.

Al ricordo di determinate azioni si deve aggiungere l’immaginazione che le renda vive in maniera perpetua. I ricordi sono esperienze sensibili, rimangono addosso come un odore di cui si impregna un tessuto o un colore che si attenua, persistendo, in svariate sfumature perché troppo esposto alla luce del sole.

Impossibile non pensare al capolavoro, uno dei tanti, di Manoel de Oliveira, Visita ou memórias e confissões, che è un film di fantasmi (nell’accezione francese di fantasme e non di fantôme2). Cosa si vede nel film di Oliveira? Si vedono degli alberi, affacciandosi alla finestra di casa, delle magnolie dalle foglie carnose e verdi e un unico fiore bianco, con due corolle, che sembra occhieggiare in mezzo ai rami, si vedono stanze e corridoi, ormai già abbandonati, si sentono le voci di due visitatori. Si vede una luce indecidibile (che ora è?), si vedono le fotografie della famiglia di Oliveira. E poi c’è lui, seduto alla sua scrivania, che batte a macchina e lavora e parla allo spettatore, che è a sua volta entrato a fargli visita nella casa disabitata. Mostra dei filmati che ha girato nel tempo, e tra i tanti ce n’è uno con la moglie Maria Isabel, in mezzo ai fiori. E poi il regista parla dei genitori, delle donne e del desiderio. Il desiderio che è uno sguardo rivolto verso un mistero, verso un tempo perduto e ritrovato, verso un luogo che non è da nessuna parte e è sempre stato lì.

Catarina Vasconcelos forgia e istituisce quel luogo con tutto ciò che non ha e che può immaginare, dislocandolo in un altrove che diviene un presente perpetuo, consegnandolo così all’eternità. Anche in A metamorfose dos pássaros c’è una finestra che si apre come un sipario e oltre cui si vede una verde valle (molto oliveriana). Anche qui ci sono fiori e piante, collezioni di specchi e fotografie, velieri che visitano acque straniere spedendo a casa confessioni lette attraverso un’immaginaria lente d’ingrandimento e reinventate per i propri figli da una madre in attesa (nella struggente registrazione che chiude il film: un vinile registrato nel 1957 da Triz che la Vasconcelos salva dall’oblio). Tempo e spazio slittano l’uno sull’altro fino a creare una dimensione poetica e politica che trova nel film stesso il limite insieme da tracciare e valicare: da un lato l’orchestra delle voci fuori campo che suonano ognuna uno strumento e imprimono sull’immagine ulteriore memoria sonora, dall’altro la moltiplicazione di spettri che innestano frequenze mutanti - la materia dei ricordi - sull’immagine.

C’è una terza madre che parla morbidamente in A metamorfose dos pássaros: il cinema portoghese tutto, Oliveira, Rita Azevedo Gomes… (e inoltre, soprattutto nella seconda parte del film, gli sprazzi rocamboleschi in prima persona che sarebbero piaciuti a Agnés Varda: specchi mimetici nei boschi, bandiere innalzate sui picchi dei monti, giochi di vento e di luce, una barchetta solitaria sulla quale padre e figlia si allontanano verso l’orizzonte). Così capace, come sono le madri, di mescolare metamorfosi insieme leggere e vertiginose, severe e ironiche, quella dolorosa consapevolezza di chi mette al mondo (in questo senso la citazione dell’inizio di Moby Dick pone subito il film sul crinale scivoloso tra vita e morte). E se l’elaborazione del lutto (anzi, dei lutti) è la soglia oltre la quale si dipana il film, c’è nella Vasconcelos una gentilezza e una passione unici proprio nel muovere questo passo breve e inusitato.

La forma aperta dell’epistolario scorre a sua volta placida e traumatica, sono ricordi, riscritture, memorie sognate e documenti intimi che ingaggiano una battaglia per sopravvivere al tempo e alla richiesta (reale) del nonno della regista di bruciare tutte le lettere che lui e Beatriz si erano scambiati in vita. C’è proprio nel film una faticosa e pignola opera di riparazione delle intermittenze cuore (di nuovo Proust), cui corrisponde un’attenziona spasmodica, che quasi attiene più alla pittura che al cinema, alla messa in scena e alla preparazione dell’inquadratura e di quello che avviene dentro e fuori campo in modo da portare alla luce ferite e rotture invisibili (dal punto di vista psicoanalitico il transfert è evidente e abissale: la Vasconcelos stessa dichiara che mentre per lungo tempo pensava di star facendo un film per salvare la memoria della nonna materna, in realtà si è dovuta accorgere che stava lavorando su se stessa, sulla morte della madre la cui malattia per sette lunghi anni aveva accompagnato la sua giovinezza). L’intuizione della Vasconcelos è che la messa a nudo, lo scavo contemporaneo nella memoria altrui e nel proprio inconscio, sono tutte traiettorie incandescenti che non ridanno indietro nulla così com’era, ma qualcosa di mutato che forse è in grado finalmente di far fronte alla perdita e all’assenza. Per far questo, immagine dopo immagine, bisogna letteralmente filmare l’aura di chi non c’è più sugli oggetti che restano e attraverso le parole presenti, sopravvissute. Quello che in pittura si chiama natura morta.

 

“Deiner Mutter Seele schwebt voraus.

Deiner Mutter Seele hilft die Nacht umschiffen, Riff um Riff.

Deiner Mutter Seele peitscht die Haie vor dir her”3.

(Der Reisekamerad, Paul Celan)

 

 

 

1 “Il passato non è quello che è scomparso, è, al contrario, quello che ci appartiene. Ciò che ci appartiene ora sono i ricordi che abbiamo insieme”.

2 Fantasme – Legato al desiderio, alla proiezione del proprio desiderio; Fantôme – Fantasma nell’accezione di spettro, ombra, essere soprannaturale.

3 L'anima di tua madre fluttua davanti a te.

L'anima di tua madre ti aiuta a eludere la notte, barriera dopo barriera.

L'anima di tua madre frusta gli squali davanti a te.

 

 

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