Una ragazza e una pistola
Fulvio Baglivi, Lorenzo Esposito
Le telecamere ad infrarossi, una mistura di colori acidi disegnano corpi corrosi e cangianti. Non sono colori di un mondo nuovo e lisergico, piuttosto albe di notti andate a male, residui di sogni allucinati, immagini che sono resti indigeribili di visioni malate. Aggro Dr1ft è una riflessione sul cinema che è stato, per niente velata, anzi sottolineata dalla voce fuori campo, pensosa e interrogante, tra rimembranze e futuri apocalittici, ma allo stesso tempo è la constatazione che non è mai stata, né sarà, la tecnica a mutare la natura dell’arte hollywoodiana, invischiata, sempre e comunque, tra una ragazza e una pistola.
Bo non è altro che l’ennesimo killer diviso tra una famiglia perfetta e un mondo malvagio, fatto di gang, tradimenti, personaggi cattivi e satanici. Un cinema diverso nell’aspetto, canonico nella forma e classico nello stile ma che afferma l’assoluta cecità dell’atto del vedere e l’invisibilità che sorregge lo scorrere dei frame. Fuori dalle logiche tecnicistiche, contro la moltiplicazione dei “K” e l’iperdefinizione delle immagini ma altrettanto estraneo a decenni di amenità accademiche sugli stilemi, il “diegetico e extradiegetico”, il “profilmico” e tutta quella sfilza di termini coniati probabilmente solo per trovare un lavoro. Il cinema e i film più massacrati da questo punto di vista sono quelli forzati a rientrare nel “noir”, Aggro Dr1ft è un noir? Bo(h), Aggro Dr1ft ci chiede: che cos’è il cinema?
Nessun post-cinema tuttavia, non può esserci un dopo o un oltre di qualcosa che ancora si interroga sul suo essere e non essere. Piuttosto Korine sembra interessato a valutarne la banalità quotidiana, la banalità quotidiana della maggior parte dei film e delle immagini (tanto da preferirgli ore di videogame), in rapporto a un’ipotesi trascendentale generata dal guardare (visionare) come dipendenza. Cosa resta dell’umano, questa è la domanda, forse il ghigno, di Korine.