"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Antropologhia (Malastrada)

Monday, 13 April 2015 15:07

Ritratto di una catastrofe

Donatello Fumarola

Antropologhia non ha futuro perchè innanzitutto è fuori dalle mode culturali e dai modi imprenditoriali dello spettacolo dominante e della sua economia (a partire da quella festivaliera). Perchè è scomodo a vedersi, non produce bellezza, è il ritratto di una catastrofe (la nostra) senza alcuna consolazione (a partire da quella estetica). Perchè Malastrada, il collettivo che lo ha realizzato, non si vuole far digerire come un qualsiasi fast food e non si offre al pret-à.porter. E a ragione. In qualche modo pratica il motto debordiano: il futuro sarà un rovesciamento di situazioni o niente. E in questo senso il futuro del film gli è esterno, legato a quanto il film può spostare, provocare, rivoltare (nel presente). Per questo riescono a farsi cacciare dalle mostre d’arte contemporanea a cui sono spesso invitati in giro per l’Europa. Malastrada produce conflitto. E lo produce in senso politico, non solo ‘estetico’, e non solo a parole. Il film non ha nulla di feticistico, nemmeno in senso negativo. Piuttosto il contrario.

Antropologhia è un film che non solo non ha futuro, ma non ha nemmeno un passato. Proiettato solo una volta a Roma al Teatro Valle Occupato senza la bellissima ora finale, La scomparsa dell'ombra. Finì lì in malomodo. E nulla più. E invece è un film prodigioso, che ha la pretesa di raccontare un popolo - il logos di un luogo (la Sicilia che c’è attorno a Paternò e lo Stato a Palermo e nei vuoti di Montecitorio) - attraverso le sue stesse immagini, autoprodotte, autoritratte (ovali, come le foto al cimitero), in epoca pre-smartphone (già lì, anzi qui, antropologicamente, a segnare quel futuro perpetuo che è questo presente). E forse non è nemmeno più un film, non lo è in senso più o meno classico né in quello ‘sperimentale’. Non appartiene a nulla di già visto, retoricamente. La cosa che gli va più vicino è il flusso televisivo da una parte, una sorta di montaggio automatico, per schegge, di durata variabilissima, letteralmente fuoritempo (anche e soprattutto quando filma il presente), e Lumière dall’altra, appunto: "l’invenzione senza futuro".

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