Roberto Turigliatto
Infinitesimale presenza
Nota a margine di un film di Oliveira
Paulo Rocha diceva spesso che il libro da scrivere su Manoel de Oliveira sarebbe la sua biografia, il viaggio in una vita fatta di molte vite. Non era Rocha a chiamarlo affettuosamente “vampiro”? Ma si può dire che egli sia stato un figlio del suo tempo, un “maestro cannibale” che ne ha divorato la fibra vitale? Non è stato invece il cineasta più visionario, sempre più avanti del suo tempo? Non è stato la più splendida e sconcertante anomalia del cinema e delle sue età? Figlio della sua epoca non lo si può dire mai di nessuno, ma ancor meno di Oliveira, nel quale più tempi coesistono a tal punto in bilico abissale che tutta la sua opera è iscritta in una dimensione escatologica, “nel ricordo di un tempo che fu e un futuro che sarà passato”. Dicendosi debitore di quattro grandi scrittori portoghesi, Camões, padre António Vieira, Fernando Pessoa, José Régio, Oliveira considerava NON ou vã glória de mandar, dove la storia portoghese si fa storia cifrata dell’eternità, come l’inizio e la fine di tutta la sua opera: “Senza NON tutto il mio lavoro sarebbe incompleto”.
Visita ou Mémorias e Confissões, realizzato mentre il regista preparava NON, costituisce a sua volta, come ha scritto Francisco Ferreira, “le plus fort bouleversement du temps jamais opéré par Oliveira”. Solo un fraintendimento totale, oltre che l’assenza di pensiero critico, hanno permesso che il film fosse presentato a Cannes in “Cinéclassiques” e a Bologna nella sezione “Ritrovati e restaurati”. Non è classico, non è ritrovato, non è restaurato. È un nuovo film che non ha alcun equivalente nella storia del cinema, come molti altri del suo autore. Il luogo più giusto sarebbe stato Venezia, il Festival cui Oliveira si sentiva più legato nella sua storia di cineasta e che ebbe il coraggio (direzione Rondi) di presentare nel 1985 Le soulier de satin in concorso, dove vinse il Leone d’Oro speciale, e l’anno dopo Mon cas nella serata inaugurale, i due film che egli girò subito dopo di questo, quando si vide costretto a posticipare di dieci anni NON secondo uno sfasamento cronologico ricorrente nell’intera sua opera.