"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Giuseppe Gariazzo

Sunday, 07 June 2020 20:39

Contagi

Fuggire dalla ‘casa’, dalla clausura di essa, da uno dei tanti confini fisici e virtuali attuati contro un virus certo non solo espanso dai poveri pipistrelli, ma da un sistema di controllo che nella sua pervasività ci rimarrà (salvo smentite) attaccato addosso, proprio come in seguito ai fatti dell’11 settembre 2001 e seguenti, precedenti prove di forza per privazioni democratiche mai restituite, per ri-trovarlo, respirarlo, volutamente, scientemente, lo stato d’emergenza nelle immagini mai così spietatamente lucide, profetizzanti nella loro sconvolgente attualità, di due film rivisti, visti per la prima volta in queste giornate d’infinito scivolamento nell’apatia e nell’intorpidimento (neppure il desiderio maggiore di leggere, vedere, ascoltare o, meglio, il desiderio di un fare che rimane pensiero e raramente azione). Non è fantascienza, non è horror apocalittico quello de La cosa di John Carpenter e La città verrà distrutta all’alba di George A. Romero. Da due dei più immensi cineasti del secolo scorso ecco allora due antidoti preziosi, due film che fanno male (e benissimo agli occhi, alla mente) e che, ri-tuffandoci nel presente, ci distolgono dalla pandemia di un‘informazione mediatica, televisiva online cartacea (tranne rarissime eccezioni), insostenibile inascoltabile inguardabile e dal proliferare di una retorica pornografica diffusa a suon di messaggi spot proclami sul “restare a casa” che, davvero come un virus, s’introducono neppure subdolamente ma sfacciatamente attraverso la moltitudine di schermi che ci circondano con il loro falso buonismo (e quindi mai grazie abbastanza a David Cronenberg, a Videodrome, ai suoi demoni sotto la pelle). Come non vedere nel finale de La cosa (due uomini nella notte, scampati al massacro, uno accanto all’altro, che si guardano, con il dubbio che uno di loro, o entrambi, o nessuno, sia contaminato) riassunto tutto il clima di sospetto di questi tempi, la paura delle persone per l’altro, che chiunque possa essere portatore del virus? E come non vedere sparsi nelle scene del capolavoro di Romero (ha quasi cinquant’anni…) segni della paura e del controllo odierni (i droni al posto degli elicotteri per scovare la gente, la cecità di chi dovrebbe garantire l’ordine e invece assale il chimico, allontanatosi di pochi metri dal suo laboratorio, non credendo a quello che dice, le tute bianche e le maschere e la quarantena imposta…)?

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