Cronache dalla zona rossa 1
E venne l’immagine. “...Ma l’immagine non crea, l’immagine delimita, circoscrive all’interno dell’anello retinico. La storia dell’immagine, del cinema, è quella di Orfeo ed Euridice. La vista che cancella, annulla, la realtà che si impone sul reale, la perdita dei mondi. La punizione del peccato originale è la nascita del bulbo oculare: allora il maligno diventa un serpente tra i frutti, ci si vergogna improvvisamente perchè nudi, e si perde la nudità, si è al mondo, sulla strada, fuori dai mondi...” Ebbene sì, questo scritto di un amico (che vi invito a leggere, lo trovate qui nella sua totalità http://www.cinelapsus.com/per-una-ecologia-dell-immagine/) mi ha aperto gli occhi sul vedere al tempo del virus. E se questo Covid-19 ci portasse, come sintomatologia, una certa forma di cecità? Una pratica del sistema nervoso (magari il virus/raggio/pistola di Sharits) che virasse sugli altri quattro sensi impedendoci di vedere? Bella domanda, quella di/su un mondo nuovo da immaginare. Personalmente mi rifaccio a tre frammenti, visti in corrispondenza di questi giorni, e che ne definiscono delle parentesi immaginarie. Potrebbe essere quello “politico” accennato da Karel Vachek nel suo trattato fluviale che coglie ogni scibile possibile (Communism and the Net, or the End of Representative Democracy) mostrando i limiti del mondo occidentale tutto; un viaggio aperto e concettuale dove la forma organica della visione - un montaggio apparentemente infinito tra il privato e il sentimentale, tra il web e il filmare - diventa una pluridimensionale lotta verso il moderno capitale con accensioni (ed invenzioni) stratificate d’emancipazione, avanguardia e modernità. Potrebbe essere quello emozionale mostrato da Yamada nel sublime finale dell’infinito ciclo di Tora-San (Tora-San, Wish You Were Here), nella commovente opera di ripensamento e riscrittura di frammenti precedenti della saga in cui Kiyoshi Atsumi ricompare per magia, resuscita; film la cui flagranza guarda a un’altra vita possibile, quella dell’evocazione, solo accennata in un saluto non finito, mai finale (anche a tutti coloro che in questi giorni ci hanno lasciato, amici compresi). Potrebbe essere invece quello metafisico di Rossellini (La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza) che Fuori Orario ha riprogrammato in queste domeniche silenziose; la bellezza della domanda ultrasecolare, quella che porta a un’altra domanda ancora, il chiedersi dove si possa andare senza sapere da dove si sia venuti (ma, intanto, continuando a camminare).