"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Recollection (Kamal Aljafari)

Tuesday, 27 October 2015 16:04

Passages à l’acte

Giuseppe Gariazzo

Un «cinematic territory», lo definisce Kamal Aljafari. Una stratificazione di spazi e tempi nella dis-installazione del passato e del presente, nella rivendicazione - muta, silenziosa, al più sussurrata - di un tempo e di uno spazio espansi che non siano altro che quelli del cinema, della sua memoria e dei suoi luoghi/set ri-collocati da un occhio ri-filmante in costante ri-posizionamento all’interno dei fotogrammi. Accade in Recollection, nella sua forma più pura, ovvero contaminata, testo di approdo del lavoro del filmmaker palestinese. Film, cinema, che cerca una sua collocazione fuori/dentro uno schermo, ritorno alle origini, esperienza onirica, sensoriale, tattile. Toccare con l’occhio i muri, le pietre, la polvere, i fili dell’elettricità così sospesi e ricorrenti a di-segnare ulteriori traiettorie nel corpo dell’immagine, gli oggetti, le rovine di ambienti senza nome (si tratta di Jaffa, ovvero di qualsiasi posto devastato dalla storia nel mondo o ri-scritto dal passaggio del cinema - ma non è poi così indispensabile conoscere il pre-testo, vale a dire rimuovere dalle immagini anche attori dei film di guerra girati nei decenni passati in quella città, che ha portato Aljafari alla realizzazione di Recollection). Bisogna lasciarsi bagnare (non per nulla il film si apre sulle onde e sul mare) dal flusso visivo, toccando anche i suoni, i rumori, le voci che dialogano con immagini che non appartengono loro, in un sincrono/fuorisincrono che amplifica la domanda, la curiosità, rinviando all’infinito la risposta: da dove provengono quelle immagini?

Si cammina dentro esse. C’è, in Recollection, la concretezza dei fantasmi, la concretezza del camminare nelle immagini, dei ‘passi-sguardi’, dei loro inciampi e delle loro soste (dei piedi e degli occhi, per lampi di montaggio o di andature deambulanti cercando dettagli da isolare penetrando il corpo dell’immagine), del procedere come in un luogo sacro di memorie dove si entra in punta di piedi. E il viaggio porta proprio in una chiesa, mentre dei passi fuori campo invitano a compiere fisicamente quell’esperienza soggettiva. Così come un altro rumore, come di qualcuno che scava/picchia con uno scalpello, entra poi in campo, ma negando ancora una volta la sua provenienza. È, nella sintesi estrema, il segno, il gesto poetico di Aljafari, che scava in ogni fotogramma, ri-modella, cancella e mostra; manipola immagini in un inserto creando un mosaico da sdoppiare, moltiplicare che fa venire in mente le tavole di Rorschach; fa ripetere, nel montaggio, una camminata, un gesto alle figure anonime (infine, forse, individuate nel poema intimo scritto dal regista al termine del film) che transitano nelle inquadrature, esprimendo, lì e altrove, il senso e la concretezza di un passage à l’acte interrotto e ripreso.

Film-approdo, Recollection, che ha i suoi germi in altri lavori del regista, The Roof (2006) e Port of Memory (2009). Perché il cinema di Aljafari è fortemente politico sempre partendo dall’esperienza personale, dalla soggettività. Quel che in Recollection, dal punto di vista della/e memoria/e familiare/i (la famiglia, esule nel 1948, si fermò a Ramle, quella paterna, e a Jaffa, quella materna), non viene spiegato, aveva infatti trovato narrazione in quei testi precedenti, già fondati - oltre che sulle testimonianze di parenti e altre figure in uno sminamento del documentario e della finzione, che sarebbe approdato a uno sminamento delle immagini stesse in Recollection - su alcuni elementi per Aljafari imprescindibili: la persistenza dei muri filmati; le case e la questione delle abitazioni sottratte ai palestinesi; certi luoghi di Jaffa usati in Port of Memory le cui immagini sarebbero state ri-usate identiche in Recollection; e sempre in Port of Memory squarci di film guardati in televisione che diventano a tutto schermo - non a caso testi come Deltaforce 1 e Deltaforce 3 con Chuck Norris, espressione di quel cinema hollywoodiano made in Golan e Globus che sarebbe stato cancellato in Recollection.

Le ossessioni di Kamal Aljafari sono magnificamente resistenti. In opere dove il gioco della memoria e delle fonti stratificate costituisce una re-collection anche del/nel/dal cinema del regista.

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